di Fabio Porta
Alle autorità italiane è ben noto il dramma che sta vivendo in questi mesi il Brasile, con la recrudescenza della pandemia a causa di alcune varianti e della criticità in alcuni Stati del suo sistema sanitario; prova ne sono le restrizioni, a volte applicate con eccessiva severità e inflessibilità, ai viaggi da e per quel Paese.
A questa preoccupazione e severità vorremmo però che, sul versante della tutela dei nostri connazionali e di quanti sono esposti per motivi diversi all’aggressivo dilagare dei contagi, corrispondesse un analogo livello di comprensione da parte delle nostre istituzioni.
Le nostre strutture consolari e tutto il personale che vi lavora vanno protette e tutelate, tenendo in considerazione accanto alla dovuta continuità dei servizi ai connazionali la doverosa attenzione alla salute degli impiegati. Rimandare totalmente a quanto disposto dalle normative locali, come disposto dall’art. 263 comma 4 del DL Rilancio, le determinazioni in materia di presenza in ufficio del personale rischia nel caso del Brasile di esporre centinaia di persone a rischi che sarebbe saggio evitare. Risulta quindi condivisibile l’allerta diramato dal sindacato Confsal Unsa del Maeci e rivolto alle autorità politiche e di governo.
Con lo stesso spirito di attenta preoccupazione per quanto avviene all’estero, soprattutto nei Paesi più colpiti dalla pandemia e dove le strutture sanitarie mostrano chiari segnali di criticità, andrebbe disposta una verifica non soltanto della possibilità di vaccinare gli iscritti AIRE temporaneamente in Italia ma anche tutti i connazionali che – temporaneamente all’estero per motivi di studio, lavoro o volontariato – avessero difficoltà a partecipare alle locali campagne di vaccinazione.