“In Campaldino Nel nome di Dante Che qui fu milite del suo Comune Firenze e Arezzo consacrano. Con le nefaste memorie. Delle guerre fratricide”.
E’ scritto sulla stele di marmo, chiamata anche “Colonna di Dante”, in omaggio al Sommo Poeta, che campeggia nella spianata tra Poppi e Pratovecchio, in provincia di Arezzo. Luogo che fu teatro, l’11 giugno 1289, della Battaglia di Campaldino, tra fiorentini e aretini, o, se preferite, tra guelfi e ghibellini. L’esito della battaglia è noto e portò all’egemonia di Firenze sulla Toscana.
Quello che accadde in battaglia, il prezzo di quella vittoria, lo racconta la professoressa di Letteratura dell’Università La Sapienza di Roma e scrittrice Sonia Gentili: “Fu una giornata molto afosa, caratterizzata anche da un cielo nuvoloso, con un clima apocalittico. In questa giornata Firenze decide di affrontare la battaglia con una mossa diversiva, cioè dà ad intendere di voler passare direttamente per la zona del Valdarno, di raggiungere direttamente Arezzo, e invece sceglie poi di passare per il Casentino. In questo modo, lambendo le terre che confinano con i possedimenti di Guido Novello, l’allora Podestà di Arezzo, Firenze schiera il proprio esercito che è numericamente superiore, con il doppio dei cavalieri rispetto a quello aretino. I ghibellini aretini sono convinti di farcela con i fiorentini che ritengono – come dice una cronaca del tempo, di Giovanni Villani – effeminati, ‘si lisciavano come donne e si pettinavano le zazzere'”.
Tra i guerrieri del sanguinoso scontro, tra le fila dell’esercito fiorentino, vi fu un allora ventiquattrenne Dante Alighieri, cavaliere di prima schiera, feditore del comandante Vieri de’ Cerchi.
E questa battaglia lasciò la sua traccia anche nell’opera dantesca: la Commedia è un poema sacro, cristiano, ma c’è anche una dimensione epica, guerresca. Buonconte da Montefeltro, ghibellino, muore a Campaldino, e la sua morte, “forato nella gola” è descritta nel canto V del Purgatorio: una pioggia torrenziale esplose subito dopo la battaglia e il suo cadavere venne trasportato dal torrente Archiano in Arno.
E “questa grande raffigurazione del sangue che si mescola all’acqua” la ritroviamo anche in altre battaglie, come quella di Montaperti, canto X dell’Inferno.
Grazie alla voce di Pino Insegno rivivono alcuni versi del Canto V del Purgatorio e la Battaglia di Campaldino.
Io fui di Montefeltro, io son Bonconte;
Giovanna o altri non ha di me cura;
per ch’io vo tra costor con bassa fronte.
E io a lui: “Qual forza o qual ventura
ti traviò sì fuor di Campaldino,
che non si seppe mai tua sepultura?”.
“Oh!”, rispuos’elli, “a piè del Casentino
traversa un’acqua c’ha nome l’Archiano,
che sovra l’Ermo nasce in Apennino.