Gente d'Italia

La sconfitta dei manager

La catastrofica operazione Superlega lascerà scorie a lungo. E avrà ricadute pesanti per il calcio nel suo complesso, per le società che hanno tentato lo strappo e, soprattutto, per i manager che si sono spinti fino all’annuncio di un progetto, senza comprenderne le conseguenze. Sono loro i grandi sconfitti. Il fallimento di un’operazione di un valore simile a quello della Superlega, in qualunque settore economico, causerebbe la rimozione dei vertici aziendali. Difficile che accada nel mondo del calcio, soprattutto perché i manager sono quasi sempre espressione delle proprietà o dell’azionista di controllo. Resta però il clamoroso passo falso. Che riguarda sia gli aspetti sostanziali, economico-finanziari, sia quelli legati alla comunicazione. Un accordo che prevede un impegno vincolante, e che viene sciolto 48 ore dopo il suo annuncio, non è una stretta di mano che si può rinnegare. Comporta conseguenze sul piano legale e anche per il conto economico, perché i passi indietro a cose fatte si pagano.

Il costo sul piano della reputazione è altrettanto pesante. Il balletto di adesioni, sfide, ripensamenti e rinunce costituisce lo sfondo perfetto per una profonda frattura con gli interlocutori principali delle società di calcio: tifosi, opinione pubblica, azionisti, sponsor. Non c’è solo il danno di immagine. C’è anche il rischio concreto di causare disaffezione in chi, con la partecipazione e il sostegno, crea le condizioni per innescare il circuito che dagli stadi arriva alle casse delle società. I passi indietro di oggi, focalizzandosi sulle società italiane, sono significativi anche nelle parole. Andrea Agnelli, presidente della Juventus, è il manager che, insieme al presidente del Real Madrid Florentino Perez, si è esposto di più. Prima ha rilasciato un’intervista a Repubblica, a ridosso della riunione decisiva della scorsa notte, sostenendo che si potesse andare comunque avanti, poi ha parlato con Reuters e ha ammesso che non ci sono le condizioni. Alla fine si è affidato al comunicato ufficiale della società: “pur rimanendo convinta della fondatezza dei presupposti sportivi, commerciali e legali del progetto, ritiene che esso presenti allo stato attuale ridotte possibilità di essere portato a compimento nella forma in cui è stato inizialmente concepito”.

Il Milan ha messo nero su bianco che “la voce e le preoccupazioni dei tifosi in tutto il mondo rispetto al progetto di Super League sono state forti e chiare, e il nostro Club deve rimanere sensibile e attento all’opinione di chi ama questo meraviglioso sport”. L’Inter, la prima a formalizzare l’inversione di rotta, ha confermato in una nota la scelta: “FC Internazionale Milano conferma che il Club non fa più parte del progetto Superlega. Siamo sempre impegnati a dare ai tifosi la migliore esperienza calcistica; l’innovazione e l’inclusione sono parte del nostro Dna fin dalla nostra fondazione. Il nostro impegno con tutte le parti interessate per migliorare l’industria del calcio non cambierà mai”. Restano le intenzioni e i presunti buoni propositi. Ma anche il fallimento dei manager che hanno portato avanti un progetto, la Superlega, morto prima di nascere.

FABIO INSENGA

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