di Franco Manzitti
Qualcuno può anche anche ironicamente fare la battuta: “Come noi non demolisce nessuno”. In un battibaleno avevamo smontato il gigante ferito della Costa Concordia, schiantata sugli scogli dell’isola del Giglio. E ora stanno tirando giù la diga di Begato, con un’operazione che stravolge un’idea chiave del fu governo socialcomunista di Genova anni Settanta, Ottanta, la città policentrica.
Stanno sbriciolando con grande enfasi e rapidità la Fiera del Mare, un padiglione, una palazzina dopo l’altra, a due passi da dove il vaccino salva la vita a migliaia di genovesi. Polverizzano il modello ultra democristiano di Genova anni Sessanta, il mare riempito, la grande esposizione, il salone Nautico, Euroflora, Tecnhotel…
E due anni fa, dopo la Grande Tragedia del Morandi, avevano demolito quel ponte quasi in un colpo solo . Quel ponte l’hanno ricostruito in un baleno, un miracolo targato Genova, ma ora cosa fanno al posto delle distruzioni di oggi? Ci sono progetti e grandi idee che fioriscono tra i cumuli delle macerie.
Ma ci sono altre demolizioni e ricostruzioni in corso nella città con una febbre neppure troppo improvvisa di grandi trasformazioni finalmente giunte a una svolta decisiva. In corso Sardegna il vecchio mercato all’ingrosso, trasferito a Bolzaneto, è andato al suolo e al suo posto nascono grandi spazi e perfino del verde, in uno dei quartieri più grigi di Genova, Marassi- San Fruttuoso.
E poi c’è il centro storico, con l’operazione “Caruggi”, dove si prevede anche qualche demolizione, che nel caso prende il nome di “diradamento”, termine soft, meno pesante per il cuore pulsante di Zena. E si potrebbero fare altri esempi. Insomma Genova esce da questa terribile pandemia apparentemente rivoluzionata in molte delle sue viscere, in alcuni gangli vitali della sua struttura urbanistica e sociale. Per decenni si è parlato di “trasformazione” e noi vecchi cronisti ci eravamo pure stancati, ed ora proprio dopo l’anno più difficile della nostra storia, quando tutto era immobile nei lock down, nelle misure di contenimento, perfino nello spirito e nell’anima, tutto sembra muoversi.
Non ci sono solo le immagini anche spettacolari della mutazione alla Fiera, proprio dove simbolicamente si incrociano, tra il padiglione Nouvel, pieno di vaccinandi e quelli C e D della vecchia Fiera in demolizione, pieni di macerie, la speranza del futuro e il simbolo del passato.
La città sembra quasi sparare dei fuochi artificiali di cambiamento nei progetti di collegare e rilanciare la Grande Muraglia genovese dei Forti, raggiungibili con la funivia dal Porto Antico. Anche Erzelli sembra scuotersi nella ricerca di un orizzonte finalmente completo con l’Università, anche il nuovo Ospedale Galliera svolta decisamente con il nuovo vescovo francescano, che è sceso personalmente in campo.
Molti di questi progetti avevano un germe nel passato, anche nelle amministrazioni precedenti, con Marco Doria, con Marta Vincenzi, sindaci espressi da alleanze tanto diverse da quella di oggi: il Water front di Levante, Erzelli stessa, le fondamenta del nuovo ospedale. Ma oggi il Comune mostra un decisionismo più pragmatico e non solo perché c’è il “sindaco che cria”, Marco Bucci e per il superassessore Pietro Picciocchi, che Primocanale ha appena mostrato come uomo del fare a tutto tondo. Ci sembra di scoprire una nuova forza che spinge e che viene dallo spirito antico della città, anche se vanno riconosciuti i meriti degli uomini di oggi.
Dalla tragedia della pandemia, nella quale siamo ancora così immersi, dopo quella del ponte, sembra che sia sbucata una energia che ora si dispiega per risollevare una città così colpita, così sofferente, che ha bisogno di demolire, di costruire, di ricostruire, di ripartire. E noi vecchi osservatori siamo un po’ più ottimisti...