Si fa sempre più fatica a pensare che Bernardo Bertolucci non sia più una fonte creativa ma una memoria di ciò che è stato e non sarà più, depositata ora negli archivi di Parma. Bernardo Bertolucci (Parma, 16 marzo 1941 – Roma, 26 novembre 2018), regista, sceneggiatore e produttore cinematografico italiano, resta uno dei maggiori cineasti con lavori di notevole successo come "Ultimo tango a Parigi", "Novecento" e "L'ultimo imperatore", che gli valse l'Oscar al miglior regista e alla migliore sceneggiatura non originale. È l'unico italiano ad aver vinto un Oscar per la regia, considerando che Frank Capra, anch'egli assegnatario del riconoscimento, era italiano ma naturalizzato statunitense.
Sulle tracce del regista ecco rispuntare il suo primo libro di poesie, "In cerca del mistero" (pag. 105, euro 12), rieditato da Garzanti a ottant'anni dalla nascita del grande regista scomparso nel 2018. Un volume introvabile curato da Gabriella Palli Baroni, tra le principali studiose dell'opera di Attilio Bertolucci, padre del regista, e recente curatrice dell'importante carteggio tra il poeta e la moglie Ninetta ("Il nostro desiderio di diventare rondini", Mondadori, 532 pagine, 35 euro).
"Scrive poco, non è grafomane, e lo si vede, che scrive proprio al momento giusto, e i momenti giusti sono pochi": così affermava Pier Paolo Pasolini a proposito della poesia di Bernardo Bertolucci, che nei confronti del padre Attilio letterariamente nutre allo stesso tempo una straordinaria fedeltà e una naturale polemica di figlio. Come scrive la curatrice Gabriella Palli Baroni, Bernardo dimostra verso l'illustre padre "una discendenza predestinata e importante nella sua storia d'artista".
Il volume "In cerca del mistero", uscito per la prima volta nel 1962 e insignito nello stesso anno del premio Viareggio-Rèpaci opera prima, è la raccolta delle poesie scritte da Bernardo durante gli anni dell'adolescenza e della giovinezza. In questo volume, ora per la prima volta arricchito di undici testi inediti, trovano spazio la famiglia, le donne amate, i colli parmigiani e i piccoli eventi della quotidianità. I primi passi di Bernardo Bertolucci avvengono sulle tracce del padre. I versi del quindicenne appaiono su riviste quali "Botteghe oscure" e la provinciale "Palatina".
A giudicarli sono prima di tutto gli amici del padre, Pier Paolo Pasolini, Giorgio Bassani e Cesare Zavattini. Poi verrà il "Viareggio Opera Prima" a consacrare il giovane parmigiano che segue le orme paterne. Ma quel fortunato volume, che uscì con il pascoliano titolo "In cerca del mistero" non ebbe seguiti. Già al momento in cui Bernardo Bertolucci ritirò il premio versiliese, era dietro la macchina da presa come aiuto regista di Pasolini in "Accattone" del 1961e come autore del suo primo film, "La comare secca" del 1962.
Il libro offre oggi l'occasione di mettere di fronte padre e figlio: motivi, lessico, prosodia si presentano non di rado come echi di una poesia che il ragazzo Bernardo sembra respirare "naturalmente" nel suo ambiente, nei luoghi che lo circondano come nell'ascolto affascinato della voce paterna. "In cerca del mistero" è un viaggio negli affetti, da quello della madre al fratello Giuseppe, dai colori della abitazione di Casarola ai primi amori. Una sorta di iniziatico romanzo famigliare da cui staccarsi per sempre per intraprendere un proprio cammino su cui grava la minaccia del tempo. Il cammino poetico del giovane Bernardo muove così da un incanto per luoghi e persone contigui e si complica via via criticamente.
C'è già del cinema nelle sue immagini: "Come se fosse sola tra sé parla / e mentre si allontana ansima ancora / Per la sua voce stupita, per la sua svelta andatura / è più dolce lasciarla che incontrarla". Non è difficile vedere qui un lungo movimento di macchina, tecnica della quale Bernardo regista sarà maestro e a un tempo leggervi come un'atmosfera da film francese di quegli anni. L'influenza di Pasolini viene ad affiancarsi criticamente a quella del padre, così come ai paesaggi d'Appennino si contrappongono quelli di Roma, "una città non mia, eppure / mi travolge un amore". Parma è già nostalgia rispetto alla caotica capitale: "Anch'io covo, in ammenda / della mia infanzia felice / negli spazi di Parma, un poco orrenda / una cosa, una radice / parassita, nata nel presepio / ineffabile della mia famiglia". Da qui il passaggio dalla poesia al cinema che pure è dono paterno, nella pianura padana di Cesare Zavattini e di "Pietrino" Bianchi, che sarà poi ritratta per sempre nel suo capolavoro "Novecento".
di Marco Ferrari