Gente d'Italia

Proporzionale o maggioritario?

Tutti sappiamo che le emergenze sono altre. Sociale, economica e, purtroppo, ancora sanitaria. Ma sappiamo, altresì, che la politica non si può arrestare e prosegue il suo cammino, anche se accidentato e sempre più balbettante. Un esempio calzante, al riguardo, riguarda proprio la legge elettorale, “la madre di tutte le leggi”, per dirla con un grande cattolico democratico, Mino Martinazzoli. Purtroppo noi sappiamo, ormai da tempo, che le leggi elettorali sono il frutto delle convenienze momentanee e dell’opportunismo di partito in quel particolare momento politico. Gli esempi, al riguardo, si sprecano persino. È appena sufficiente scorrere le cronache concrete del principale partito della sinistra italiana in questi ultimi mesi, il Partito democratico, per rendersene conto.

Con il governo giallo/rosso la segreteria nazionale di quel partito era seccamente e strenuamente a difesa del proporzionale con la conseguente cancellazione della sciagurata e pessima legge elettorale, il cosiddetto “rosatellum”. E quasi tutto il partito, di conseguenza, era schierato su quella prospettiva. Passano pochi mesi e arriva Letta dalla Francia dopo l’auto esonero di Zingaretti in polemica feroce con il suo partito e quell’impianto proporzionale cede il passo al ritorno secco del maggioritario. E anche qui, altrettanto puntualmente, tutto il partito si allinea e cambia, di conseguenza, radicalmente la prospettiva politica per il partito. Passano alcune settimane e, nel frattempo, si spezza clamorosamente l’alleanza a livello locale - definita troppo frettolosamente “storica, organica e strutturale” da alcuni strateghi del Pd - con il partito di Grillo e di Conte, cioè i 5 stelle, e si riaffaccia miracolosamente nel dibattito interno la possibile eventualità del ritorno al proporzionale.

Ora, è del tutto evidente - come dicevo poc’anzi - che la futura legge elettorale sarà il frutto dei sondaggi in quel particolare momento storico e, soprattutto, la conseguenza diretta e quasi scientifica del risultato delle elezioni amministrative di ottobre dei singoli partiti. Due considerazioni che, ovviamente, prescindono radicalmente da qualsiasi alleanza politica di lungo respiro e di lungo termine perché tutto è legato alla contingenza e alla stringente attualità. Certo, la distanza con il passato, al riguardo, è semplicemente siderale. Perché il nostro Paese, è sempre bene non dimenticarlo mai, ha avuto la medesima legge elettorale per quasi 50 anni dopodiché è partito il valzer dei cambiamenti quasi ad ogni legislatura. Nulla di grave, per carità. Ma non possiamo, al contempo, non rilevare che il cambiamento così repentino delle leggi elettorali non risponde più ad alcun disegno politico di lungo respiro ma solo e soltanto alla logica della contingenza e dell’interesse politico momentaneo dei vari partiti e cartelli elettorali. Nulla di strategico, quindi.

Ed è proprio lungo questo percorso che si smarrisce il valore della politica come progetto storico e di governo. Del resto, la legge elettorale di per sé non cambia il panorama della politica ma ne determina e ne condiziona profondamente le modalità di comportamento. Non a caso, con le leggi elettorali tramontano e nascono nuovi partiti, scompaiono e si riaffacciano nuove alleanze politiche e, soprattutto, può emergere - o meno - una nuova classe dirigente. Basti ricordare, per fare un solo esempio, cosa hanno significato concretamente nella politica italiana il decollo - positivo e incoraggiante sotto il profilo del rapporto tra eletto ed elettore - del Mattarellum da un lato o del “porcellum” con le liste bloccate dall’altro. Due modalità, due leggi elettorali, due modi d’essere nella politica italiana che hanno contribuito a creare due modelli politici profondamente diversi tra di loro. Per questi semplici motivi sarebbe auspicabile che la legge elettorale rispondesse, seppur solo minimamente, ad un disegno politico strategico. Sarebbe, questo, anche l’unico modo per battere alla radice il trasformismo da un lato e, soprattutto, evitare di perpetuare la crisi della politica dall’altro.

Il trasformismo, l’opportunismo e l’anti politica introdotti dalla cultura populista in questi ultimi anni negli ingranaggi della politica italiana non possono continuare ad essere il faro che illumina il comportamento dei partiti. Serve, veramente, una inversione di rotta archiviando definitivamente tutto ciò che in questi ultimi tempi ha immiserito e dequalificato la politica italiana e lo stesso tessuto etico della nostra democrazia. Se si vuole si può fare. Purché si abbia la consapevolezza, l’intelligenza e la volontà di recuperare le fondamenta politico e culturali della nostra democrazia di cui proprio la legge elettorale ne è uno strumento. Forse il più concreto e importante.

GIORGIO MERLO

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