È uno di quei casi che hanno monopolizzato l’attenzione mediatica non solo di Montevideo e dell’Uruguay, ma anche dell’Italia. La vicenda che riguarda la morte del 35enne italiano Luca Ventre, avvenuta lo scorso 1° gennaio all’interno dell’Ambasciata di via José Benito Lamas, merita di arrivare quanto prima a una conclusione definitiva che porti ognuno a prendersi le proprie responsabilità.
Al momento è accertato che Ventre ha perso la vita a causa di un soffocamento da parte di un poliziotto armato che evidentemente ha usato maniere troppo violente per fermare l’uomo. E il poliziotto è stato dunque indagato in Italia con l’accusa di omicidio preterintenzionale. Bene. Anzi male per tutto il contesto. Ma è evidente che il caso è tutt’altro che chiuso e difatti anche la magistratura di Montevideo sta portando avanti un’inchiesta e su questo filone ha interrogato il primo segretario dell’ambasciata Alessandro Costa.
In tutto questo dramma, c’è soprattutto una cosa che non quadra: chi ha fatto entrare il poliziotto all’interno della stessa ambasciata? Il tutore dell’ordine, difatti, non doveva trovarsi laddove si è consumato in pratica il placcaggio mortale, ma all’esterno della struttura. E dunque è evidente che chi ha permesso l’accesso del poliziotto dovrà prendersi le proprie giuste responsabilità. Se non avesse acconsentito al suo ingresso in giardino, non sarebbe successo quello che purtroppo è accaduto.
Ci sono ancora dei punti oscuri su questa storia, ma di certo l’interrogatorio di Costa potrebbe portare a nuovi elementi. Chiaro è che il poliziotto ha una grande percentuale di colpa sulla morte per asfissia di Ventre, ma probabilmente non è il solo responsabile del decesso di una persona che non meritava una fine così atroce, nonostante abbia compiuto l’imprudenza di scavalcare il cancello dell’ambasciata dove probabilmente cercava conforto. Ma dove invece ha trovato la morte.