La stagione felice del rapporto fra il mondo dell’emigrazione e il MAECI è durata più o meno vent’anni: dall’elezione degli allora Co.Em.It., Comitati dell’Emigrazione Italiana, nell’autunno del 1986, alle consultazioni politiche del 9 aprile 2006, in cui venne eletto per la prima volta lo sparuto drappello dei – quasi tutti inutili – 6 senatori e 12 deputati votati nella Circoscrizione Estero. Da allora il termine “emigrato” ha subito una lenta e inarrestabile erosione. Ormai c’erano i parlamentari “esteri”, gli “emigrati” sono stati sostituiti dagli “italiani che vivono il mondo”, poi ”gli italiani all’estero”, quindi “la fuga dei cervelli”, infine “la mobilità”. L’immaginifico elegante, promosso per valorizzare questi nuovi italiani residenti fuori d’Italia, li descrive tutti come giovani, plurilaureati, ricercatori, imprenditori, artisti, pieni di successo, abituati a saltare su un aereo come i comuni mortali salgono sull’autobus e decisamente “non-emigrati”.
L’emigrato è il parente povero con cui si dialoga il meno possibile, gli si fanno gli auguri a Natale, si canta l’Inno di Mameli alla Festa della Repubblica, poi ci si dimentica di lui e si finge di non conoscerlo fino a quando non è necessario raccogliere fondi per le catastrofi naturali che si abbattono sull’Italia.
I comportamenti dei diplomatici della Farnesina, in servizio in Italia e fuori, sono radicalmente cambiati per riflettere il nuovo lessico di valutazione, creato da loro stessi attraverso iniziative di progressivo distacco, per non dire rigetto, dalle realtà delle comunità, anche quelle ad altissimo livello professionale, colpevoli di avere un occhio critico verso le spocchie a geometria variabile degli Ambasciatori o dei Consoli di turno. Le vittime sono cadute a una a una, come i birilli del bowling.
Prima sono stati pressoché esautorati i Com.It.Es., tranne quelli con Presidenti legati a partiti forti nel Governo di turno dell’Italia, poi si è cercato di rendere obsoleto il CGIE, per fortuna senza riuscirci del tutto. Lo ripetiamo, l’idea di fondo è: “tanto ci sono i parlamentari eletti all’estero”, il 90% dei quali ha un solo e duplice obiettivo: ingraziarsi il partito per farsi ricandidare, ingraziarsi gli elettori locali per farsi rieleggere. E i diplomatici si piegano volentieri a questo gioco egoistico di senatori e senatrici, deputati e deputate provenienti dal mondo, che si sostituisce alla missione di rappresentanza diretta affidata loro dai votanti. Sì, perché all’estero si vota esprimendo le preferenze e il mandato è ad personam, oltre che territoriale. Non passa giorno che uno o una di loro non presenti un’inutile mozione o ordine del giorno o un’interrogazione alla quale risponderanno gli stessi diplomatici che il giorno prima si sono prestati alla foto ricordo e al comunicato stampa servilmente pubblicato dalle agenzie che prendono i contributi dal MAECI e non si permetteranno mai di presentare opinioni diverse e contrastanti sullo stesso argomento, per permettere ai lettori di farsi un’opinione personale.
Fin qui nulla di nuovo sotto il sole. I latini ci hanno insegnato divide et impera. Ma l’effetto più devastante di questa escalation di potere a danno delle comunità, il peccato che non può essere lavato nemmeno con l’acqua santa, consiste nell’aver obliterato i quotidiani, i giornali, i periodici prodotti all’estero da editori veramente al servizio delle collettività. Il percorso è facile: basta rivolgersi alle testate in lingua locale nei Paesi in cui l’Ambasciatore o il Console di turno prestano servizio e pagarle profumatamente per diffondere il messaggio della Grande Italia, la Bella Italia, la Resiliente Italia, l’Italia che rinasce dalle sue ceneri come l’araba fenice.
Peccato che meno del 5% del pubblico straniero leggerà le lunghe e noiose descrizioni scritte in gergo politico-diplomatico italiano e tradotte in modo atroce nella lingua del posto da addetti assunti in loco.
E i giornali degli italiani – quelli che scrivono nelle due lingue dello stesso Paese; quelli che sanno come presentare e narrare le virtù dell’Italia e della sua emigrazione; quelli che onorano i lettori offrendo analisi approfondite e pareri diversi su questioni di concreto impatto sulle loro vite e l’Italia – continueranno a svolgere il loro compito con intelligenza, amore e grande professionalità, affiancati con rispetto dalle testate locali, perché si ispirano ai princìpi della vera deontologia giornalistica, e non hanno bisogno di Ambasciatori e Consoli per esistere ed essere ammirati e riconosciuti.
Carlo Cattaneo (1801 – 1869)