di Luca De Fusco
È bello che l’Italia pianga con così tanto affetto la morte di Carla Fracci ma è singolare che non pianga invece la danza italiana che sta morendo in modo drammatico. Negli ultimi vent’anni hanno chiuso i corpi di ballo di Venezia, Bologna, Torino, Catania, Firenze, Trieste, Verona. Di solito i sovrintendenti che hanno operato queste chiusure sono stati elogiati come se avessero tagliato degli sprechi inutili. Se questi tagli fossero stati operati prima non avremmo avuto la Fracci, la Terabust, la Savignano, la Dorella, la Ferri. Abbiamo applaudito le grandi stelle della danza italiana mentre tagliavamo i rami degli alberi su cui stavano quegli splendidi usignoli.
Negli anni ’80 sul versante della danza moderna grandi coreografi venivano a realizzare spettacoli in Italia. Lo fece la grande Pina Baush, Carolyn Carson trovò alla Fenice di Venezia disponibilità a fondare una compagnia. Intanto Amedeo Amodio fondava la prima grande compagnia di danza moderna, l’Aterballetto. Di tutto ciò non c’è quasi più traccia. Questa eliminazione di un linguaggio artistico da un’intera nazione è avvenuto nel disinteresse generale. I grandi quotidiani, invece di protestare, hanno progressivamente eliminato i critici di danza dalle loro pagine.
Personalmente mi sono occupato di danza in due circostanze nella mia carriera di direttore, alla fine degli anni ’80, del festival delle Ville Vesuviane e dal 2011 del Napoli Teatro Festival. Alle Ville vesuviane riscontrai un grande interesse mediatico e di pubblico per la danza moderna. Alle prime mondiali di Roland Petit come a quelle nazionali di Amodio accorrevano critici e spettatori. Con la maratona per Mozart realizzammo uno spettacolo ripreso dalla Rai che lo trasmise più volte. Tornato a occuparmi di danza trent’anni dopo registrai un grande scetticismo nella capacità degli appuntamenti di danza di riempire le sale ed era molto difficile ottenere risalto mediatico visto che, semplicemente, nei giornali gli esperti di danza erano un genere in via di estinzione.
È vero che attualmente la danza vive un momento di crisi creativa. I grandi come Bejart, Petit, Baush non ci sono più. Questo non giustifica però il vero e proprio sterminio che è stato compiuto e che non ha motivazione logica. L’apparente disinteresse del pubblico è in realtà un fenomeno facilmente risolvibile. Al secondo anno di direzione del Napoli Teatro Festival gli appuntamenti di danza erano già i più affollati. Si era verificato un normale processo tra offerta e domanda. Dopo aver smesso di offrire danza moderna per anni nel sud si era contratta anche la domanda. Insistendo con una nuova offerta era resuscitata anche la domanda. Infatti il Roma Europa Festival, che ha il grande merito di aver tenuto alta la bandiera della danza moderna in questi anni di crisi, ha sempre avuto sale piene. Non c’è giustificazione allo sterminio neppure se si guarda oltre i nostri confini.
In Francia uno dei cinque teatri nazionali, il prestigioso Théâtre National de Chaillot, è diventato un teatro che si occupa solo di danza moderna. Il Ballet National de Marseille, fondato da Roland Petit, è una compagnia Stabile di danza che gira il mondo. Le residenze di coreografi nei teatri francesi sono assai frequenti. Lo stesso accade in Germania. In Olanda l’italiano Emio Greco ha una sua compagnia stabile. Non parliamo poi di Israele che ha fondato un nuovo stile di danza moderna; nel territorio assai esiguo dello stato d’Israele ci sono più teatri e compagnie di danza moderna che in tutta l’Italia. È vero che in alcuni festival sopravvive danza internazionale di qualità ma è sempre d’importazione; se non si ritorna a produrre più spettacoli di danza classica e moderna non si uscirà da questa gravissima crisi.
Come è potuto succedere? Forse il problema è iniziato con una minore grinta da parte dei sindacati nel difendere i ballerini rispetto agli altri lavoratori delle Fondazioni liriche. Certamente è stato miope difendere il “posto fisso” di ballerini ingrassati e stanchi. Si sono vinte piccole battaglie di retroguardia ma si sono poste le condizioni per perdere la guerra. Più i corpi di ballo peggioravano più si dava ragione a chi li voleva chiudere. Ma è stato anche assai grave non incoraggiare la nascita di compagnie di danza moderna, isolando l’Italia dal resto del mondo. La pandemia ha dato il colpo finale. La quantità di ballerini che hanno cambiato mestiere e ormai consegnano pizze invece di allenarsi è notevole.
L’Italia fa bene a piangere la Fracci, perché rischia di non avere più étoile di quella grandezza nel futuro. Non è un caso che Alessandra Ferri viva ormai da anni a New York. L’alternativa alle consegne delle pizze per i giovani danzatori infatti è quella di fuggire dalla nazione di Carla Fracci, e di Paolo Bortoluzzi, grande ballerino morto nel disinteresse generale.