di Pietro Salvatori
Bisogna seguire (anche) il denaro per capire cosa sarà e cosa farà il Movimento di Giuseppe Conte. E c’è un sottotesto economico anche alla decisione tutta politica di rimandare la discussione sul limite dei due mandati a tempi che verranno. L’esigenza è quella di non spaccare il gruppo, di tenere uniti gli uni - chi è in Parlamento da quasi dieci anni e ambisce a restarci - e gli altri - la nuova leva che complice la riduzione dei consensi e quella del numero dei parlamentari ha paura di non rientrarci. “È un nodo che ci trascineremo, che verrà sciolto solo a ridosso delle prossime elezioni”, spiega un parlamentare che ha consuetudine con l’ex premier.
Ma c’è anche una questione di sostenibilità dietro l’esigenza di non creare fibrillazioni e di non perdersi altri pezzi per strada. Le casse del Movimento languono, se non sono vuote poco ci manca. È per questo che, archiviato l’obolo da conferire all’associazione Rousseau, dallo scorso mese tutti i parlamentari sono tenuti a versare 1000 euro nelle casse del partito, oltre ai 1500 già previsti per il fondo restituzioni. Morosità a parte, significa 237mila euro al mese, 162 da Montecitorio e 75 da Palazzo Madama, una cifra robusta ma che non è spropositata per il modello che Conte ha in mente.
Gli uomini dell’entourage del capo politico in pectore stanno cercando una sede, un punto di riferimento logistico e organizzativo alla vecchia maniera. Sarebbero già state individuate due ipotesi, nei pressi di Montecitorio, e si aspetta che la questione dei conti venga definitivamente chiarita prima di fissarla. Una sede che avrà del personale che si occuperà del partito. Gli stipendi dello staff di diretta collaborazione dell’avvocato pugliese saranno scaricati, non senza qualche malumore, sui gruppi del Senato (Maria Chiara Ricciuti e Dario Violi) e della Camera (Rocco Casalino). “Ma ci sarà altro staff, un partito di questo genere non può pensare di andare avanti “senza personale”, spiega chi sta lavorando al dossier. Ci sono i contratti con Corporate Advisors e Isa, le due società che sostituiranno il complesso delle funzioni di Rousseau, c’è l’idea di aprire sedi regionali. Insomma, c’è una struttura sicuramente più “pesante” di quella che ha portato avanti fino ad oggi i 5 stelle da finanziare. Senza contare poi gli eventi, come quello per l’incoronazione che parrebbe previsto per il prossimo 27 giugno, e le campagne elettorali future, a partire dalle imminenti amministrative.
Ecco perché il tesoretto che si maturerà con l’autotassazione degli eletti diventa cruciale nella gestione di un Movimento dai connotati rinnovati, ed ecco anche perché, spiega un parlamentare di peso “Giuseppe ci penserà tre volte prima di alzare il vespaio, perché non gli conviene da nessun punto di vista”. La prima tranche, quella di aprile che aveva scadenza il 10 maggio, dovrebbe essere già in cassa, ma così come è entrata ne uscirà. È quello l’unico tesoretto a cui attingere per saldare il debito con Casaleggio. Sul sito tirendiconto.it sono una minoranza i parlamentari che sembrano aver già assolto al compito di rimpinguare le casse, ma dai direttivi si giustificano spiegando che le scadenze differite a dieci giorni del mese successivo hanno reso più macchinoso l’aggiornamento. Certo è che sono in molti a rumoreggiare sulla scelta. “Perché io che ho sempre versato i 300 euro debbo sostanzialmente pagare Casaleggio due volte?”, ci dice un deputato sul piede di guerra: “E siamo tanti in questa situazione”, aggiunge.
Ma i soldi sono pochi, gli impegni che si prospettano per il futuro tanti e onerosi. Conviene tenere il gruppo unito, per ragioni politiche evidenti, ma anche per ragioni economiche che lo sono meno, ma non per questo meno stringenti.