di Massimo Teodori
Siamo in piena bagarre sul referendum per la giustizia promosso dai radicali e sostenuto con vigore da Salvini: riguarda la responsabilità dei magistrati, il CSM, la custodia cautelare, la separazione delle carriere, i collegi giudiziari, e le materie di ineleggibilità.
Si confrontano e si scontrano chi sostiene che la riforma spetta al parlamento (proposta Cartabia), e chi la vuole affidare al voto popolare; chi sottolinea il carattere ambiguo del connubio con la destra salviniana, e chi sostiene che sui referendum qualsiasi alleanza è opportuna perché la parola passa poi agli elettori; chi rivendica la supremazia dei partiti, e chi ritiene che le forze favorevoli alla democrazia liberale e contrarie al giustizialismo giudiziario debbano cogliere l'occasione dopo anni di immobilismo.
Il referendum è un istituto costituzionale non alternativo al parlamento ma, unico strumento di democrazia diretta, concepito per abrogare cioè correggere leggi non corrispondenti al comune sentire della maggioranza popolare.
Vediamo a cosa sono serviti i referendum abrogativi dall'istituzione nel 1970. Nel primo ventennio in alcuni casi hanno rivelato quanto distanti fossero i legislatori dal sentimento popolare: il divorzio nel 1974, l'aborto nel 1981, la contingenza nel 1985, e la riforma elettorale nel 1993. Allora vennero usati con moderazione e precisione soprattutto dai radicali che più tardi ne abusarono con scarsi risultati.
Oggi sulla giustizia val la pena di riflettere sulla lezione referendaria. Spesso la semplice raccolta delle firme (almeno 500.000) è servita per spronare il parlamento a fare riforme che altrimenti non avrebbe mai compiuto. Così la volontà dei promotori che intendevano arrivare al voto, è stata utilizzata dai parlamentari per portare rapidamente a termine una riforma legislativa altrimenti dormiente (il cosiddetto "referendum di stimolo").
Basta ricordare due significativi esempi: la legge 194 sull'aborto non sarebbe mai stata votata nel 1978 in gran fretta se due anni prima non fosse stata raccolta una valanga di firme per un referendum abrogativo che preannunziavano un altro successo come con il divorzio. Nello stesso anno fu approvata in parlamento la "legge Basaglia" che aboliva i manicomi dopo che erano state raccolte le firme necessarie al voto.
Ecco la lezione della storia referendaria. La buona legge elettorale maggioritaria (per ¾) "mattarellum" non vi sarebbe stata se non fosse stata provocata dal movimento Segni-Pannella-Massimo Severo Giannini e dal voto che mobilità personalità provenienti da tutti gli orizzonti politici.
Personalmente ritengo che il referendum abrogativo vada usato come voto popolare e non come stimolo. Ma se ha un effetto da stimolo anche per la riforma della giustizia, ben venga.