di Riccardo Galli
Posti di lavoro vacanti ce n'è, qui e adesso: i calcoli in proposito arrivano a circa mezzo milione entro l'anno. Fame di lavoro ce n'é: tagliati fuori da un'occupazione lavorativa tra i tre e i quattro milioni di italiani.
Eppure posti di lavoro vacanti e fame di lavoro non si incrociano, non si toccano se non di rado. Tra i tanti e tra i primi a dirigere in maniera sbagliata il percorso della produzione e del lavoro ci sono i sindacati.
Sempre un passo indietro, sempre un passo storto.
Sindacati prevedono e ammoniscono: un milione di licenziamenti se si toglie il blocco e 200 mila già dal primo di luglio. Descrivono "macelleria sociale" in agguato ovunque. Lo fanno mentre mai come ora nella storia d'Italia miliardi a decine e decine vanno a finanziare spesa sociale. Soprattutto invocano resti tutto congelato sul mercato del lavoro quando interi comparti produttivi hanno già ricominciato a macinare produzione e hanno bisogno di assumere. Non avendo alcuna altra strategia che non sia il congelamento, i sindacati, per quel che possono, paradossalmente frenano la ripresa che invocano.
Uno, solo uno dei motivi del non incrocio tra offerta e domanda di lavoro è costituito dalle paghe "da studenti". Non è solo letteratura o demagogia: sono frequenti offerte di retribuzioni di fatto ben sotto i mille euro mensili.
Qui i sindacati dovrebbero agire, ma non ne hanno la forza e neanche la cultura operativa: sono ormai da decenni barricati dentro i contratti nazionali di lavoro, con ampie e coraggiose sortite verso la terra promessa dei pre pensionamenti e pensionamenti.
Uno dei motivi per cui domanda e offerta di lavoro non si incontrano è la ricorrente e riscontrabile impreparazione della forza lavoro alle modalità produttive. Non solo in fabbrica e nelle mansioni specializzate, non è raro imbattersi in camerieri in grossa difficoltà nel far di conto sul resto ai clienti.
La formazione professionale reale vede i sindacati assenti, se non nella forma, questa sì praticata, di organizzatori e fruitori di integrazioni al reddito dei formatori. D'altra parte, come affrontare per i sindacati la questione nazionale della validità dei percorsi formativi dovendo i sindacati incondizionato appoggio ai sindacati scuola?
Un reddito garantito dalla mano pubblica esiste in moti paesi, giustamente esiste. Però è soprattutto in Italia che ha attecchito cultura e pratica del reddito diciamo di cittadinanza che fa concorrenza al reddito da lavoro. Solo da noi è praticabile e praticato il conteggio: se lavoro 1000 al mese, col reddito di cittadinanza ne faccio 500, ci aggiungo 300 a nero (e faccio contento il datore di mini lavoro) e scelgo così che mille a lavoro pieno chi me lo fa fare? Cultura e prassi dei sindacati sono corrivi a questo pensare ed agire.
Sindacati impegnati ed esigenti nella ricerca di produttività. Produttività da tradurre in salari più alti e in reddito pubblico più formazione e guida a nuovo lavoro per chi cambia o perde lavoro. Realtà vorrebbe sindacati che non chiudono occhio su assenteismo e dirottano risorse su assunzioni giovani. Realtà vorrebbe sindacati che non idolatrino il "non si tocca" quando reddito e lavoro vengono dal toccare tutto o quasi.
Realtà vorrebbe sindacati del lavoro e non della Cassa Integrazione o della pensione. Realtà vorrebbe sindacati che portano i 200 mila che perderanno il lavoro nel 2021 a cambiarlo il lavoro e non sindacati che gridano al milione di posti perduti, allo "tsunami" del lavoro in fondo e solo per tenere a galla le barche sfondate di una flotta di cui ammiraglia Alitalia.