di Franco Esposito
Gattuso, Monet, De Chirico, Modigliani, Menzio, Casorati, in tutto centoventi opere d’arte. I dipinti si trovavano in uffici e corridoi di diverse sedi Rai. Sono spariti, sostituiti con autentiche patacche. Falsi e goffe imitazioni al posto dei preziosi originali. L’azienda Rai può contare su un ricco patrimonio di millecinquecento opere. Sulla clamorosa sparizione indagano la Procura e i carabinieri Tutela.
Il valore delle tele che non si trovano più è di alcuni milioni di euro. Perdute anche cinque miniature in bronzo e argento che riproducono il famoso cavallo di Viale Mazzini dello scultore Vincenzo Messina. Quadri rubati poi venduti. E nella migliore delle ipotesi persi. Il sacco della Rai. Una squallida vicenda con tutti i crismi di un grande, colossale imbroglio. E a margine una domanda che imporrebbe immediate risposte: possibile che mai nessuno, nel tempo, si sia accorto della preziosa sparizione di centoventi opere d’arte?
Un danno milionario. Il sospetto è che molte opere siano state trafugate da dipendenti infedeli. Il patrimonio delle opere d’arte in dotazione alla Rai è stimabile in mllecinquecento tra arazzi, tele e sculture.
Il saccheggio interessa tutte le sedi della televisione pubblica, da Nord a Sud. L’indagine è partita dopo una denuncia dei vertici Rai, decisi finalmente a fare luce sui mancati ritrovamenti delle opere. Centinaia di pezzi spariti, a partire dal 2008.
L’ultima volta che sono stati ammirati in Viale Mazzini “Via nei campi” di Giorgio De Chirico e “La domenica della Buona Gente” di Renato Gattuso eravamo nel 2004. Identica sorte per il “Porto di Genova” di Francesco Menzio, sparito poi nel 2010, dalla sede torinese di via Verdi.
Il pubblico ministero Francesco Marinaro ha avviato una maxi inchiesta. Quasi subito è riuscito a individuare il ladro del quadro “Architettura” di Ottone Rosai. Un’ opera sottratta proprio da un impiegato attualmente in pensione dalla sede di viale Mazzini. Si sono adeguate anche le procure del Nord, le indagini proseguono a tappeto.
Non si trova neppure la tela di Giovanni Stradone “Il Colosseo, di cui è spartita ogni traccia dalla sede romana nel quartiere Prati. Come pure si sono come volatizzate “Giuditta” di Carlo Levi, “Parete
Rossa” d Sante Monachesi, “Tristano e Isotta” di Massimo Campigli, “Tela Bianca” di Angelo Savelli, “Apologia del Circo” di Giuseppe Santommaso, “Serata di Epifania” di Savelli, “Composizione” di Carlos Roma, “Kovancina” di Felice Casorati, “Giuditta” di Carlo Levi, “Tristano e Isotta” di Massimo Campigli, “Tela Bianca” di Savelli, “Numeri” di Ugo Nespolo. Letta l’importanza e l’imponenza delle opere, bisogna dire che i ladri di opere siano di bocca buona o conoscono alla perfezione le valutazioni commerciali delle opere stesse.
Un colpo grosso che preoccupa e allarma le sedi Rai a qualsiasi livello. Anche perché nel conto bisogna inserire il capitolo relativo alle stampe di Modigliani, Sisley, Coret e le riproduzioni di Piranesi. Di questi artisti sono sparite “Petit Fils”, “Hampton Court”, La Route de Sevre”, “Paysage de Verneulle”, “Fontana Acqua Paola”. Lavori di pittori e scultori contemporanei che hanno un valore di mercato decisamente rilevante. Soprattutto in costante ascesa. Secondo la ricostruzione degli investigatori, gran parte dei dipinti spariti è assente dalle sedi Rai a partire dal 1956. Settantacinque anni di furti e nessuno si è accorto mai di nulla.
1956 l’anno in cui la televisione pubblica organizzò una mostra a Lecce, dal titolo “Opere del Novecento nella collezione della Radiotelevisione italiana”. Gran parte di quelle tele oggi introvabili all’epoca erano esposte nella città pugliese del barocco. L’inchiesta di procura e carabinieri prosegue a ritmi incessanti. Il quotidiano il Messaggero ne ha dato notizia il 4 maggio scorso. Pare che il tutto sia nato per caso: la scoperta di un quadro che si pensava originale e invece originale non era.
La “patacca” è stata rinvenuta nei corridoi della sede Rai di viale Mazzini, in maniera del tutto accidentale. Dopo che l’opera cadendo dalla parete avrebbe rivelato la sua vera natura. Niente altro che una copia. Un pezzo di enorme valore di Ottone Rosai, rubato da chissà chi e sostituito con una replica, un crostone, e rivenduta a 25 milioni di lire negli anni Settanta.
Si è scoperto che qualcuno che aveva trafugato l’opera aveva lavorato per decenni in Rai. L’Arsenio Lupin di turno aveva ammesso agli inquirenti di essere stato lui il protagonista della ruberia. L’ha fatta però franca: i reati contestati, furto e ricettazione, sono tutti prescritti. Incredibile? Proprio no: il furto sarebbe stato messo a segno quaranta anni fa. Ma l’uomo è stato emulato da altri colleghi? La domanda chiave è questa. Di sicuro in Rai manca un controllo su questi beni.
Succederà ancora? Il rischio di altri clamorosi furti in Rai è un’ipotesi da un scartare. Purtroppo va tenuta in grande considerazione.