Di LUCIO FERO

L’invasione dei tavolini è in atto, anzi è già in fase avanzata: tavolini e relative sedie hanno già da settimane allargato le teste di sbarco su marciapiedi, piazze, rotonde, vicoli, strade. L’invasione si consolida e si rafforza: siamo alla fase, evidente e documentabile, delle strutture fisse. Piattaforme su cui poggiare i tavolini sorgono ovunque, piattaforme fisse. Sorgono dove una volta c’erano i parcheggi per auto o comunque sugli spazi di strada una volta pubblici ed ora colonizzati da ristoranti e bar e pizzerie e pub che tutti si sono presi il marciapiedi di fronte e anche quelli di lato e li stanno…stavamo per dire fortificando. Quasi ogni tragitto di pedone, quasi ogni andare a piedi da qualche parte comporta ormai un percorso tra tavolini. Talvolta tra camerieri gentili ed esercenti consapevoli che si scusano con uno sguardo, spesso tra gestori e dipendenti che ti guardano come se passeggiassi in casa loro. Fiorisce in ogni strada e stradina e viale e piazza e piazzetta l’economia del dehors. Lo dicono gli occhi di chi vive in qualunque città, gli occhi che vedono i cento, anzi i centomila fiori di questa fioritura e lo dicono le rilevazioni statistiche sul lavoro e i fatturati. Buona cosa questa fioritura: produce occasioni di lavoro qui e adesso più di ogni altra attività, innesta il piccolo balzo dell’occupazione sia pure a tempo determinato. Addirittura provoca una carenza di manodopera disponibile o reperibile. E porta nelle aziende della ristorazione e relativo vasto indotto recupero sensibile del fatturato perduto quando gli esercizi erano chiusi per evitare diffusione contagio. E’ buona cosa la fioritura dell’economia del dehors, ma è fioritura nel gran campo chiamato Italia. Quindi fioritura spontaneamente, naturalmente, ovviamente anche modello giungla. Ansia di recuperare il fatturato (e anche il nero) perduti ma soprattutto il sentirsi vittime porta esercenti di ristoranti, bar e simili a un comportamento tipico, quasi rituale nella nostra società: il vittimismo aggressivo e non di rado anche prepotente. La decisione governativa di consentire la ristorazione di gruppo all’esterno dei locali e la disponibilità dei Comuni a riconoscere la facoltà di allargarsi all’esterno con tavolini e sedie sono stati interpretati e vengono messi in atto come un diritto assoluto (appunto senza vincoli) a prendersi tutto lo spazio (una volta pubblico) che si può. Le strutture fisse che moltissimi esercizi stanno allestendo e hanno allestito per tavolini e sedie segnalano che gli esercenti hanno tradotto gli spazi a loro disposizione in spazi di loro pertinenza/proprietà. Pochi ma già alcuni di loro si comportano così se passi in mezzo ai loro tavoli posti in due file sui due lati del “loro” marciapiedi. L’economia del dehors non durerà un’estate e questa è buona cosa. Non è però buona cosa che quanto è stato giustamente dato a ristoranti e bar per questa estate diventi eterno e immutabile. A ristoranti, bar e simili è stato dato un dito, anzi una mano per risollevarsi sotto forma di spazio pubblico da utilizzare per una stagione. E’ fin troppo facile prevedere che il verbo utilizzare sarà tradotto in appropriare, ristoranti e bar allargati resteranno tali, allargati appunto. Strutture fisse, pedane rialzate, staccionate contieni tavolini si arricchiranno d’estate di ombrelloni para sole e d’inverno di funghi scalda aria e non saranno né temporanei né rimossi. Chi ha avuto giustamente il permesso di allargarsi per una stagione si sentirà in diritto di restare allargato per sempre. E le regole, i divieti, i limiti? In un paese che non riesce a far applicare la legge (la legge!) dell’obbligatorietà di vaccino per chi lavora nelle strutture sanitarie ci saranno sindaci e vigili urbani che rimuovono con carri attrezzi pedane e tavolini dei ristoranti? L’invasione dei tavolini si fermerà quando saranno finiti i marciapiedi e non quando sarà finita l’estate 2021 o 2022 o qualunque sia la data. E’ andata così, va così, l’Italia è così. Una sola cosa, bella e impossibile: da esercenti di ristoranti, bar e simili magari un “grazie” alla collettività per questa cessione di territorio invece della solita lacrima magari urlata?