L’Italia è un meraviglioso Paese basato sull’improvvisazione e sull’emigrazione. Ogni cinque anni si rinnovano le rappresentanze delle Comunità all’estero: Com.It.Es. e CGIE. In qualunque altro Paese europeo e di altri continenti meglio organizzati, il giorno dopo la conferma degli eletti e l’insediamento dei nuovi organismi si cominciano a pianificare le prossime consultazioni. Nel nostro caso, si doveva cominciare dall’analizzare gli errori fatti, per capire il perché del pericoloso calo di partecipazione degli aventi diritto e della decimazione delle associazioni abilitate a votare nelle assemblee elettorali del Consiglio Generale.
Si doveva fare il calcolo dei fondi necessari per avviare le procedure di sostituzione del voto cartaceo con quello elettronico, con tempi sufficienti a effettuare tutte le prove di questa terra e inserire le relative voci di spesa nella finanziaria. Ci si doveva ricordare che le due leggi istitutive sono datate rispettivamente 2003 e 1998. Di quest’ultima ridicola situazione in tempi di cyber velocità del consumo di idee e modelli di vita si è ricordato – bontà loro – il CGIE, che ha avviato un percorso, durato quasi due anni, di dialogo con Associazioni e Com.It.Es. di tutto il mondo. Il CGIE ha quindi stilato due proposte di riforma delle due leggi, approvati in assemblea plenaria a novembre del 2017 e inviati a ripetizione ai due rami del Parlamento e a tutti i Governi che si sono succeduti da allora. In un Paese normale, ci si sarebbe aspettati che i parlamentari eletti all’estero se ne facessero carico, per arrivare alla scadenza dei mandati con una normativa aggiornata. Ma lo sciagurato manipolo dei rappresentanti della circoscrizione Estero è talmente affaccendato a mantenersi lo scranno, su cui continuare a sedere più o meno degnamente, e ha una tale paura che da Com.It.Es. e CGIE possano uscire candidati migliori di loro, che non ha fatto assolutamente nulla fino a poche settimane fa. Non basta. Le elezioni dei Com.It.Es., che fanno scattare la preparazione delle assemblee elettorali del CGIE, dovevano tenersi entro il 2020.
È scoppiato il COVID. In uno dei decreti battezzati “milleproproghe” senza che nessuno se ne meravigli più, la data è stata spostata di un anno: “entro il 31 dicembre del 2021”. Ligi al loro dovere, gli alti funzionari della Farnesina hanno suggerito, per non dire fissato, l’indizione delle elezioni al 3 settembre di quest’anno, con consegna delle schede entro il 3 dicembre. Il Parlamento ha stanziato 9 milioni di euro per coprire i costi dell’informazione, la registrazione dei votanti, la stampa e l’invio delle schede e la sperimentazione del voto elettronico di un potenziale elettorato attivo di nientepopodimeno che 4 milioni di persone, se non di più. Risibile, vero? Per non dire insultante! Un diplomatico coraggioso ha dichiarato che con questa elemosina si possono coprire al massimo le spese del voto di un 2% - due per cento – degli aventi diritto. Nel frattempo, il COVID dilaga, alcuni continenti stanno vivendo soltanto adesso la crescita inarrestabile delle infezioni. Non ci si può spostare liberamente. I Consolati sono sottostaffati e lavorano da remoto, il CGIE urla che andare al rinnovo con leggi vecchie di quasi vent’anni nel caso dei Com.It.Es. e oltre trent’anni nel caso del CGIE e in piena pandemia è contrario a qualsiasi ragionevolezza.
Che cosa succede? Si svegliano i Presidenti delle Commissioni affari esteri di Senato e Camera, Sen. Vito Rosario Petrocelli e On. Piero Fassino e dichiarano al CGIE che sono d’accordo sul “sensibilizzare il Governo a un ulteriore possibile rinvio alla primavera del 2012”, ma “per la sola ragione della pandemia”. Che Dio ci scampi e liberi – affermano entrambi – dall’ipotesi che i due rami del Parlamento possano calendarizzare, discutere e approvare alcuna modifica alle leggi istitutive delle rappresentanze.
Forza Italia, Italia Viva e il MAIE si oppongono al rinvio per bocca, fra gli altri, di Garavini, Ungaro e Nissoli. Farnesina e circoscrizione Estero esultano perché un patetico risultato di partecipazione e l’impossibilità di funzionare condanneranno a morte i due organismi. Finalmente il Governo e il Parlamento non saranno più obbligati a rispettare i diritti degli italiani fuori d’Italia, che potranno contare soltanto sulle 12 marionette – 4 al Senato e 8 alla Camera per 6 milioni e mezzo di cittadini nel mondo – sopravvissuti ai tagli dell’ultima modifica costituzionale. L’Italia rimarrà il paese dell’improvvisazione, perché l’emigrazione sarà perduta per sempre, anche come forza di sostegno alla rinascita di quella che un tempo si chiamava “la Patria lontana”. CARLO CATTANEO (1801-1869)