di Franco Manzitti
Toti va con Brugnaro, la Liguria tradisce Berlusconi, dove andrà a parare l'ex dirigente di Mediaset? Era arrivato a Genova, candidato a sorpresa per Forza Italia in elezioni regionali definite "impossibili" per il centro destra. Dopo il lungo regno di Claudio Burlando, già sindaco, deputato, ministro e per dieci anni, fino a quella primavera 2015, presidente della Regione.
Contro di lui avevano schierato Raffaella Paita, una scatenata assessore burlandiana - Ovviamente allora Pd al ciento per ciento, come direbbe Diego Abatantuono nelle sue vecchie gag.
La sinistra era sicura di vincere, malgrado gli strappi e le scissioni interne, in primis quella di Sergio Cofferati. Che in quella stagione caliente mollò il Pd e perse le primarie contro la bella spezzina, delfina del presidente uscente. Traendone la conseguenza di strappare con le sue radici di partito.
E invece vinse lui Giovanni Toti, allora poco più che quarantenne, direttore di un Tg Mediaset, delfino numero uno del cavalier Berlusconi. Suo giovane e intraprendente suggeritore in un'epoca che sembra lontana anni luce.
Toti, di origini spezzine, di vita milanese, piccolo enfant prodige del berlusconismo, era stato piazzato nella casella vuota del candidato della destra in Liguria su sua un po' sfacciata richiesta.
"Metteteci me così mi diverto!", era stata la sua battuta nel consesso forzista con il Cavaliere ancora potente e in ottima salute, malgrado le spire dei processi Ruby uno, due e ter.
Ce lo misero e inaspettatamente Toti vinse, stupefatto lui per primo - Ne ricordiamo il volto tra il preoccupato, il sorpreso e il trionfante, nel tragitto tra il vecchio albergo genovese dove aspettava il risultato della elezione regionale e il palazzo della Regione dove andava a prendere contatto con la sua nuova realtà.
Da delfino del capo e direttore della sua rete Mediaset a governatore della Regione Liguria. Lui l'aveva conosciuta fino a quel momento come luogo di passaggio per raggiungere il suo amato paesello, nell'estremo provincia spezzina, quasi Toscana.
Sono passati oramai sette anni da quella notte di sbronza elettorale. Toti ha governato la Liguria e non solo, diventando la punta di diamante di una rivoluzione. Come in un gioco di castello di carte ha fatto cadere, una dopo l'altra, tutte le roccheforti "rosse" della Liguria. Facendola conquistare dalla sua Destra leghista e berlusconiana e ora si direbbe "giorgiana" con Fratelli d'Italia. Prima Savona, poi Genova, poi Spezia, perfino Sarzana, Imperia no, che non ce ne era bisogno.
Un asso pigliatutto: questo è diventato Toti - L'ex delfino del Cavaliere ha rivinto in carrozza le elezioni nel 2020, contro una sinistra lacerata e strappata tra Pd inesistente e 5Stelle.
Ma quel ruolo di presidente-governatore non gli è bastato presto. Malgrado i surplus eccezionali dell'impegno per la tragedia del Ponte Morandi. E poi la pandemia con il suo ruolo molto più che esposto nella proporzione delle Regioni italiane. La Liguria ha sempre fatto la voce grossa nel confronto spesso drammatico tra Regione, Stato, tra regioni e i governi, prima il Conte II e poi Draghi.
Anche questo ha contribuito a ingigantire il ruolo di Toti - Così lui è cresciuto fuori dai confini, assumendo i contorni di un leader nazionale. Prima con il lancio di "Cambiamo", seconda versione dopo quella iniziale. Che aveva radunato a Roma, nell'inizio estate 2019, al Teatro Brancaccio, una folla di sostenitori con una ventina tra deputati e senatori, già saltati sull'agile carro del presidente ligure.
Mai tempo fu più sbagliato. Incominciava l'estate che sarebbe culminata con il Papeete di Salvini in mutande a chiedere i pieni poteri. La caduta del governo Conte I. Lo schiaffo del premier al leader leghista in pieno Parlamento. La nascita del Conte II. E il capitano leghista messo ai margini.
Toti voleva prendere lui la scia leghista, dopo avere avuto grandi segni di preferenza dal Matteo post lumbard. E poi la cena a Portofino dopo la vittoria eclatante delle elezioni 2018. Con capitavola proprio Toti e Savini a mangiarsi golosamente un piatto di troffie al pesto.
E Toti rimase in mutande - Invece si era trovato lui in mutande, con la sua formazione galleggiante tra lo 0,5 e l'1 per cento, sbattacchiata di qua e di là. Dopo l'estremo tentativo di un Berlusconi più in forma di oggi. Che aveva cercato di salvare l'unità di Forza Italia incaricando il leader ligure e Mara Carfagna come proconsoli di un partito da ristrutturare.
Ma marginalizzato a Roma, nella tempesta del Covid il leader ligure è stato sempre in prima linea e ha rafforzato la sua leadership regionale. Da vice presidente della Conferenza delle Regioni, a fianco di Bonaccini, il presidente dell'Emilia Romagna.
Ha fatto la voce grossa con il Conte II, ha discusso aspramente con il ministro Speranza. E ha stravinto le elezioni regionali del settembre 2020.
Senza dimenticare la sua antica ispirazione di lavorare a un movimento di centro, che tenesse a bada gli estremismi leghisti, che pescasse in quella ampia area grigia, o magari più colorata, che parte dagli sfrangiamenti di Forza Italia, affidata durante la lunga malattia-esilio di Berlusconi, a leader non certo carismatici, il banalissimo Antonio Tajani, la super coiffata Anna Maria Bernini, la Gelmini sempre più distante dal nocciolo leghista.
Toti e Draghi, affiancamento critico - Toti ha escluso dalla sua giunta ligure qualsiasi esponente di Forza Italia e questo era già un segnale di rottura secca e quando è arrivato Draghi, con il suo maxigoverno, il presidente ligure ha trovato una rotta furba di affiancamento critico.
Sfruttando una visibilità quasi dirompente (se ci fosse ancora operante il famoso calcolatore mediatico che una volta funzionava a Pavia con il suo Osservatorio il presidente della Liguria sarebbe in testa a ogni classifica di comparsate Tv e di interviste sui giornali).
Navigando di bolina nella tempesta Covid, sfruttando bene il vento delle vaccinazioni, con la costruzione del più grande hub in Italia, quello allestito alla Fiera di Genova, Toti ha fatto un'altra strambata delle sue a livello politico nazionale, non avendo la minima opposizione in casa, se non qualche guaito dei forzisti tagliati fuori dalla stanza dei bottoni e ha lanciato con il sindaco di Venezia Luigi Brugnaro "Coraggio Italia", una specie di replay, due anni dopo di "Cambiamo", la sua superfirma in Liguria, dove aveva conquistato alle regionali oltre il 24%.
Lo scossone questa volta è arrivato in un quadro politico molto diverso e ben 11 tra deputati e senatori Fi hanno fatto il salto della quaglia, tra questi anche il ligure Sandro Biasotti, ex presidente della Regione Liguria, berlusconiano di ferro.
Quale è il vero obiettivo? - Non si sa se l'obiettivo sia veramente quello di entrare in un gruppone che accoglie insieme i fuoriusciti della declinante Forza Italia, Azione di Carlo Calenda, magari perfino i superstiti della renziana Italia Viva e qualche altra frangia centrista.
Certo la Lega, sopratutto quella ligure, non l'ha presa bene. Loro pensano a una Federazione di Destra che non prevede "Coraggio Italia".
I rapporti con Edoardo Rixi, il deputato già vice ministro dimessosi per le spese pazze, poi assolto e oggi di nuovo in piena forma, sono molto tesi da tempo.
Rixi è critico sull'assolutismo di Toti, che governa come un principe rinascimentale la corte ligure, tenendo per se anche gli assessorati della Sanità e del Bilancio e che bastona Forza Italia. Rixi pizzica quando può il suo amico, al quale aveva nobilmente ceduto il passo nel 2015 per la presidenza della Liguria, che toccava a Forza Italia. Sic transit gloria mundi.
Il caso di Luca Bizzarri - E così quando Toti è un po' cerchiobottista sulla vicenda del test antidroga al cantante dei Maneskin, dopo la vittoria nel Festival europeo, che ha scatenato la censura di Luca Bizzarri, genovese, comico superstar e, guarda caso, anche presidente di palazzo Ducale, la principale istituzione culturale genovese, Rixi e i militanti leghisti genovesi e liguri non gradiscono affatto.
C'è oramai un fossato in mezzo alla maggioranza ligure di centro destra o se non un fossato una bella crepa.
Toti sa che per lui l'orizzonte non è più ligure: è al secondo mandato e non ce ne sarà un terzo. La sua prospettiva è fare politica a livello nazionale o tornare a fare il giornalista, ipotesi difficile certamente nella Mediaset dove era cresciuto, fino a diventare, appunto, il giovane consigliori di Berlusconi.
E allora è più divertente costruire un piano di nuove alleanze nazionali. Allearsi con Venezia, attraverso l'accordo con il sindaco Brugnaro, non sta tanto nelle corde genovesi, per i quali la Serenissima è una nemica, ma rientra in un disegno abile di strategia centrista tra il Nord Ovest e il Nord Est, che non spasimano per gli estremismi della Destra salviniana, per quanto sotto controllo dell'ombrello di Draghi.
Ora bisogna conquistare consenso e altri deputati e senatori, perché i primi sondaggi non danno a "Coraggio Italia" più dell' 1 per cento. Ma si sa, la politica oggi è molto liquida e Toti in riva al mare ha imparato a nuotare, un po' surfando, un po' strambando.