di James Hansen
Giovanna D’Arco è una santa, per quanto non una di lungo corso. Morta sul rogo nel 1431, venne beatificata solo nel 1909 e canonizzata nel 1920. È santa patrona di Francia—o meglio, una santa patrona “secondaria” della Francia, ce ne sono altri otto: San Dionigi, San Martino di Tours, San Luigi, San Michele, San Remigio, Santa Petronilla, Santa Radegonda and Santa Teresa di Lisieux.
Com’è d’uso tra i santi “moderni”, Giovanna fu santificata non per le sue gesta in vita, ma piuttosto per le postume guarigioni “istantanee e perfette” di tre suore: suor Teresa di Sant’Agostino, da un’ulcera cronica allo stomaco; suor Giulia Gauthier di San Norberto, da un’ulcera al seno sinistro e suor Giovanna Maria Sagnier, da “osteo-periostite tubercolare”.
Dal punto di vista popolare, la Santa francese è certamente più nota per il recupero dei territori caduti in mano inglese durante la Guerra dei cent'anni, quando guidò vittoriosamente le armate di Carlo VII, assicurando al suo Re il controllo della Francia. Catturata poi dai Borgognoni, Giovanna fu venduta agli inglesi sconfitti che la sottoposero a processo per eresia, condannandola al rogo. Fu arsa viva il 30 maggio 1431. Nel 1456 papa Callisto III, al termine di una seconda inchiesta, dichiarò la nullità del primo processo e lì le cose si fermarono per circa 450 anni. Né la Chiesa né la classe regnante dell’epoca potevano entusiasmarsi di ragazzine di umilissime origini che, per volontà divina, arrivarono a guidare armate intere in guerra, determinando il destino di Re e Regni. Poi, visto da Roma, un’intervento divino a favore di un regno—la Francia—contro un’altro— l’Inghilterra ancora cattolica—costituiva un problema teologico, per non dire politico.
Ma il popolino non ha demorso. La storia della bella pulzella armata di spada e chiamata da Dio a salvare il suo Paese piaceva troppo e, siccome i fatti concreti scarseggiavano, potè essere raccontata come si voleva. Nei secoli il mito crebbe e un po’ tutti se ne appropriarono, con risultati alterni, le versioni edulcorate da approvare, quelle più ciniche—e forse più realiste—da biasimare.
Delle seconde, la più nota è quella di François-Marie Arouet, in arte Voltaire: La Pucelle d'Orléans, un longo poema che iniziò a scrivere nel 1730, anche se fu pubblicato solo nel 1899, ben dopo la sua morte.
Con una sensibilità che oggi potremmo anche chiamare “moderna”, Voltaire immaginava la sua Pucelle non come una verginella 18enne di poveri ma onesti genitori, ma piuttosto come una cameriera da taverna di 27 anni, un po’ “rodata”, dagli ampi nichons e con gli occhi vivaci.
Sarebbe stata scoperta da una sorta di propagandista ante litteram, tale Boudricourt, che vide in lei la perfetta figura “da guerriera e profetessa” per spronare le truppe francesi demoralizzate perché: “Sapeva cavalcare senza sella ed eseguire esercizi propri dei maschi a cui le altre vergini non erano use...”
La versione di Voltaire seguì gli sviluppi noti alla storia, dispensando grande ammirazione per “quest’eroina, degna del miracolo che aveva finto di compiere” e riconoscendo che Carlo VII “in seguito restaurò il ricordo del suo onore—già sufficientemente onorato dalla sua punizione...” L’opera, anche se la Pulzella allora non era nemmeno beata, restò al bando, da bruciare, per quasi due secoli.