Che manrovesci mollava quella spia già nel 1965, provvidenzialmente destinata a diventare soltanto due anni dopo campione del mondo di pugilato! Già perché era Nino Benvenuti a dare volto e corpo – non la voce, prestata da un doppiatore professionista – all’Agente 00SIS (Zero-Zero-Sis), il fascinoso e brillante protagonista della serie di Carosello del Cavallino Rosso, il brandy italiano che negli anni Cinquanta e Sessanta competeva con il bolognese Vecchia Romagna e il triestino Stock 84 per il titolo di leader dei liquori forti nazionali.
SIS, l’azienda produttrice del Cavallino Rosso, nonostante il soggetto televisivo, non era acronimo di Servizio Informazioni Segrete (come gli apparati italiani di Marina e Aeronautica nella seconda guerra mondiale), né di Secret Intelligence Service (meglio noto come Mi6, l’agenzia di spionaggio per l’estero del Regno Unito), bensì della più innocente e popolare etichetta Società Italiana Spiriti, liquorificio fondato ad Asti già nel 1849. Eppure l’aggancio con il ruolo interpretato da Benvenuti c’era tutto. La SIS infatti da metà anni Cinquanta al 1967 fu di proprietà del Servizio segreto militare italiano, come per primo rivelò nel 2005 lo storico Aldo Giannuli nel suo La guerra fredda delle spie, libro supplemento de l’Unità, con la conferma di Giuseppe De Lutiis, I servizi segreti in Italia, Sperling & Kupfer, Milano 2010.
Il precedente di Mussolini - L’etichetta di un’azienda produttrice di alcolici come copertura per un’agenzia di intelligence non rappresentava nemmeno una novità. Infatti, come ha raccontato Domenico Vecchioni in Le spie del duce (Edizioni del Capricorno, 2020), nel 1927 Arturo Bocchini, capo della polizia di Mussolini, all’interno della Direzione generale di Pubblica sicurezza aveva istituito un Ispettorato speciale di polizia affidato a Francesco Nudi, descritto dai colleghi come “un funzionario molto preparato, meticoloso, correttissimo, buon conoscitore delle ideologie e dei metodi comunisti”: per tre anni nessuno si accorse di quel nuovo organismo, formato da agenti molto abili, ben preparati e ben pagati, un servizio agile, autonomo e dotato di consistenti mezzi finanziari, che aveva la sua sede principale a Milano sotto la copertura di Anonima Vinicola Meridionale. Rispetto a quella prima esperienza la SIS dimostrò in aggiunta notevoli capacità imprenditoriali visto il successo dei prodotti. I nuovi padroni della SIS mantennero la sede astigiana originaria pur trasferendo il quartier generale operativo al civico 2 di Largo Isarco, nella zona sud di Milano, rilevando l’area di Distillerie Italiane, la stessa che dal 2015 ospita la fondazione Prada, e contemporaneamente designando l’ufficio di direzione a Roma, al numero 33 di piazza S. Apollinare.
L’azienda astigiana aveva da tempo conquistato il mercato dei liquori con una serie di proposte rinomate: dalla Grappa Barolo all’Elixir Moka, dall’Anisetta al Triple Sec, dalla Prunella alla Crema Caffè. Il colpo magistrale arrivò proprio con la nuova proprietà. Nel 1957, tra tutti i prodotti di casa, la SIS stabilì la priorità del già popolare Old Brandy, versione piemontese del cognac francese, da quel momento invariabilmente abbinato al marchio Cavallino Rosso – disegnato nel 1953 dal grafico Severo Pozzati - subito sostenuto da un percussivo lancio promozionale, con manifesti, inserzioni su quotidiani e periodici, un merchandising azzeccato come quel cavallino rosso con la criniera e la coda bianche, gadget in plastica e in pannolenci che l’acquirente riceveva in omaggio con la bottiglia: giocattolo per i bimbi, cimelio per i collezionisti.
Al tempo dell’ingaggio della SIS, il Servizio informazioni forze armate era diretto dal generale Giovanni de Lorenzo, avvicendato nell’ottobre del 1962 dal generale Egidio Viggiani. Alla crescente affermazione del Cavallino Rosso si contrapponeva nella prima metà degli anni Sessanta la crisi d’immagine del Sifar, afflitto da cronache di fascicolature proibite e da narrazioni di smanie di golpe. Così tra il 1964 e il 1965, sotto la direzione Viggiani, maturò l’iniziativa di emulare l’operazione James Bond per riabilitare la figura dell’agente segreto italiano. Il trionfo cinematografico della creatura di Ian Fleming era d’altronde anche servita a sbiadire il ricordo dei due giovani diplomatici inglesi sospettati di essere spie sovietiche, fuggiti nel 1951 all’Est: si disse che Guy Burgess e Donald McLean erano stati ricattati perché omosessuali e così convinti, a fronte di prove fotografiche e filmate di convegni scabrosi, a tradire il proprio paese. La spia portata sullo schermo nel 1962 da Sean Connery aveva ben altre caratteristiche: aitante, sagace e irresistibile sia come lottatore sia come seduttore di femmine fatali. E rigorosamente anticomunista.
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