di Federica Fantozzi
Tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare. In questo caso, lo Stretto di Messina. Mentre il leader della Lega coccola il suo progetto di riorganizzazione del centrodestra, a partire dalla manifestazione di sabato 19 a Roma senza simboli di partito, in Sicilia le acque sono agitate. “Se Salvini vuole la federazione, deve venire qui a trattare con me” si è sfogato con più di un interlocutore un infuriato Gianfranco Micciché, presidente dell’Ars e proconsole forzista sull’Isola. Dove l’anno prossimo si voterà per le regionali, ed eventuali trattative partiranno proprio da quelle liste. Un bel problema per l’avanzata del disegno salviniano nel frastagliato Sud.
La Sicilia, governata dall’ex europarlamentare di An Nello Musumeci, è il “laboratorio del centrodestra” nel Mezzogiorno. La regione più forte (seguita dalla Calabria), dove si beneficia maggiormente della disfatta grillina. Soprattutto tra le file azzurre: nel 2017 Forza Italia è stato secondo partito, al 16,3% dopo l’M5S del candidato sconfitto Giancarlo Cancelleri al 26,6%. L’Isola del 61 a zero ottenuto dalla CdL nel 2001 (grazie ad Alfano) è una “fortezza Bastiani” nelle zone in cui l’impero berlusconiano è in via di disfacimento: alle Regionali dell’anno scorso in Campania ha preso il 5,2%, mentre l’8,9% in Puglia, a sostegno di Fitto, non rispecchia i sondaggi attuali. Ecco perché strappare il sì del ras liberal azzurro conta. Soprattutto se, come pare, anche l’ex presidente del Senato Schifani alla federazione crede poco. Micciché non è uomo facile: inviso a Tajani, altalenante nei rapporti con Musumeci, non lesinò epiteti - “traditore, prende tutti in giro” - al Salvini che governava con Di Maio. Tuttavia, anche lui ha un soft spot: sogna il bis alla guida dell’Ars. E non può arrivarci da solo.
Le spine non si fermano qui: il candidato del centrodestra in Calabria, dove si vota in autunno, è Roberto Occhiuto, un tempo vicino a Mara Carfagna. Cioè, la ministra che insieme a Maria Stella Gelmini si è messa di traverso alla prospettiva di federarsi – o peggio, fondersi – proponendo piuttosto il rilancio del partito berlusconiano e chiedendone – che audacia - il congresso. Da capogruppo Occhiuto si è mosso bene, legandosi al “cerchio magico” di Arcore e rassicurando in più occasioni il Capitano, che ha dato luce verde alla corsa calabrese. Ad adiuvandum, alla ministra del Sud è stato recapitato un messaggio, come scrive “Il Mattino”: se non deporrà le armi, il primo atto dei nuovi gruppi “federati” potrebbe essere la richiesta a Draghi di “esautorarla” in quanto non più rappresentativa di quelle forze politiche.
Mentre in Campania il pericolo non viene dalla salernitana Carfagna, del tutto concentrata sulle strategie nazionali. Né dai vertici regionali – il coordinatore De Siano e il suo vice Fulvio Martusciello – allineati con la linea filo-leghista di Tajani e Ronzulli. Bensì dalle perplessità dei “soldati” sul territorio. Nella regione che l’anno scorso ha trionfalmente riconfermato De Luca, Fi si aggira intorno al 5% (come la Lega), a Napoli non è arrivata al 3% con un solo consigliere comunale. Una débacle a cui l’ircorcervo chiamato “Forza Lega” o “Lega Italia” darebbe il colpo di grazia: “Qui Salvini non ha mai sfondato perché sconta un pregiudizio anti-meridionalista – spiega un deputato – Vero o presunto che sia, chi si candiderebbe nelle liste con i suoi? E soprattutto, chi le voterebbe?”.
Il timore è palpabile: federazione uguale esodo. Verso Giorgia Meloni. O peggio, come è accaduto in Puglia: dove l’ex mister 100mila preferenze Massimo Cassano ha fondato “Puglia Popolare” in campo per il secondo mandato di Emiliano. Del resto, gli eletti campani della Lega sono Gianpiero Zinzi a Caserta, figlio dell’ex presidente Dc della provincia, e Severino Nappi a Napoli, ex Fi-Ncd-Fi. Se non traghetta ceto politico da altri lidi, il Carroccio non tocca palla.
L’operazione in vista del partito unico è partita. Berlusconi vuole lasciare un testamento politico, Salvini scrollarsi di dosso la pregiudiziale anti-sovranista. A ingolosire gli alleati – come fu per il Pdl – saranno i collegi leghisti del Nord. Al Sud però è rivolta. E la federazione rischia di fermarsi a Eboli.