di Franco Esposito
Si presenterà col centrodestra. Potenziale eventuale candidato in qualità di assessore alla Cultura del Comune di Roma, il popolare critico d'arte Vittorio Sgarbi, nel frattempo si ritrova impelagato in una vicenda croste. Falsi dipinti, imitazioni, copie, certificate come autentiche. Tele ancora fresche di colore, falsi autentici, autenticati da Sgarbi come veri. Croste scambiate per originali, a quanto si dice e si racconta nel giro degli esperti d'arte. Il critico ferrarese rischia il processo. L'accusa del pubblico ministero è di "associazione per delinquere".
A denunciare il malfatto, un vero e proprio abuso di potere, la cugina di Gino De Dominicis nel 2012. Già allora sul mercato circolavano opere apocrife del maestro. Nel 2014, in un incontro all'hotel Carlyle di Milano, un expertise, con Marta Massaioli, nota nel mondo dell'arte per reati commessi, secondo il gip "Vittorio Sgarbi firma expertise senza visionare le opere".
Sulla strada che eventualmente dovrebbe condurlo al Campidoglio, Sgarbi pare sia stato protagonista di un clamoroso scivolone. Approdata al Tribunale di Roma, la brutta storia potrebbe compromettere il futuro politico del critico d'arte. Ma il punto è un altro: la cosa a cui Sgarbi tiene di più è la sua reputazione come critico d'arte. Sarà dura per lui uscire indenne da questa vicenda: i pm di Roma gli contestano di "aver autenticato almeno trentadue quadri di Gino De Dominicis, maestro marchigiano deceduto nel 1998". Un acclarato protagonista della scena artistica del secondo dopoguerra. La Procura ha una convinzione assoluta: Sgarbi sapeva che quei quadri erano palesemente falsi. Su alcune tele le pennellate bianche erano ancora fresche. Allora la domanda d'obbligo racchiude un paradosso: possibile che un critico d'arte del suo livello non abbia riconosciuto il falso palese?
Il compenso di Sgarbi pare sia stato di 170mila euro. Punto sull'onore e sulla competenza, ora è al colmo dell'ira, letteralmente furibondo. Un vulcano in eruzione. Sgarbi è accusato oltretutto di fare parte di un'associazione per delinquere che fabbrica finiti quadri di De Chirico, De Dominicis e Fontana. Li autentica grazie a nomi di prestigio come quello dell'ex sottosegretario berlusconiano, e li vende ai collezionisti.
Un commercio sporco. Solo per i quadri (falsi) di De Dominicis, il gruppo che fa capo a Marta Massaioli ha piazzato opere per dieci milioni di euro. Il valore dei dipinti sequestrati supera i 130 milioni di euro. A Sgarbi viene contestato anche un filone minore – ricettazione e falsa autentica – reato già approdato in un'aula di tribunale. Oggi è fissata l'udienza preliminare del filone madre sull'associazione per delinquere.
L'udienza deciderà se Sgarbi e gli altri devono andare a processo. L'inchiesta, come detto, nasce nel 2012 quando Paola De Dominicis, cugina e unica erede del maestro pittore marchigiano, nota che sul mercato circolano opere apocrife dello zio. Si affida allo studio legale Brunelli di Perugia, che consiglia di segnalare il brutto andazzo ai carabinieri del Nucleo tutela del Patrimonio culturale 118 opere che la De Dominicis ritiene "fasulle e di dubbia attribuzione".
Indica in particolare un collezionista milanese, Luigi Koelliker, quale possessore di numerosi quadri apparsi in un catalogo curato da Vittorio Sgarbi e Duccio Trombadori. La perizia della professoressa Isabella Quattrocchi attesta la contraffazione della maggior parte delle tele.
Sgarbi viene pedinato per mesi. E intercettato. Nei guai si ritrova appunto nell'incontro del 25 giugno 214 all'hotel Caryle a Milano, videoregistrato dai militari. Marta Massaioli scende da un taxi trascinando un voluminoso trolley. Sgarbi è nella hall. La Massaioli si siede in ginocchio davanti a lui, tira fuori dal trolley un faldone di certificati di autentica e li sottopone a Sgarbi. Il critico appone la firma, senza neppure smettere di parlare al telefono. "L'operazione expertise è avvenuta al massimo attraverso una riproduzione fotografica, in maniera del tutto inusuale nella hall di un albergo", scrive il gip che nel 2008 ha disposto l'arresto di due membri della Fondazione. Laddove sul sito della Fondazione De Dominicis si garantiva "l'autenticazione fatta da una commissione di tre esperti presieduta da Sgarbi e Massaioli, insieme a consulenti esterni". Ma non c'è traccia di riferimenti a riunioni di commissioni.
Dall'hotel milanese, la Massaioli telefona al gallerista romano Massimiliano Macciaccia, che aveva avuto da ridire su tre opere di De Dominicis restaurate con tempera bianca ancora fresca. La Massaioli, per tranquillizzarlo, lo fa parlare con Sgarbi. I carabinieri fanno scattare immediate perquisizioni. Sequestrano 170 certificati, di cui 119 firmati da Sgarbi, "tutti privi di riscontro fotografico dell'opera autenticata". Certificati firmati in bianco e completati poi in relazione all'opera falsa da realizzare".
La chiosa dei magistrati certifica il grande imbroglio. Una truffa vera e propria.
Tu quoque, Vittorio Sgarbi.
Fanno addirittura molto di più i carabinieri: scoprono che la Fondazione Gino De Dominicis, di cui Vittorio Sgarbi era presidente e la Masssaioli vice, è una scatola vuota.
"La sede indicata sul sito è inesistente, l'utenza telefonica è il cellulare del marito di Massaioli". La signora non è sconosciuta agli investigatori che operano nel mondo dell'arte: condannata a due mesi per furto aggravato nel 2003, condannata a due anni e sei mesi nel 2017 per ricettazione e contraffazione di opere d'arte.