di Michela A.G. Iaccarino
La storia della Federazione russa potrebbe tornare a scorrere laggiù dove si era fermata, al confine delle città dove sorgevano i campi di lavoro forzati per i nemici del regime comunista. Vecchi gulag sovietici e nuovi gulag russi. Nel lontano, siderale e sterminato est di Mosca, dove le infrastrutture richiedono costante manutenzione, il Fsin, Servizio penitenziario federale, ha deciso di lanciare un progetto pilota in cui saranno coinvolti inizialmente solo poche centinaia di prigionieri delle sature carceri nazionali.
A causa della pandemia i gastarbeiter, (i migranti in arrivo da tutte le ex Repubbliche sovietiche per lavorare a prezzi ridottissimi e condizioni usuranti ad ogni latitudine russa), hanno fatto ritorno in patria e hanno abbandonato lavori che i russi non si affrettano ad accettare. Anche per questo, nei prossimi mesi, su base volontaria, i condannati per reati minori potranno raggiungere il cuore della Siberia per ristrutturare la Bajkalo-Amurskaya maghistral’, una ferrovia parallela alla Transiberiana, che collega il cuore gelido della Federazione con l’Estremo Oriente.
Nota anche con l’acronimo Bam, lunga 4500 chilometri, fu ideata in epoca zarista, ma la sua realizzazione risale all’era sovietica: fu costruita “grazie al lavoro forzato di migliaia di prigionieri del gulag”, dice Andrea Gullotta, studioso di letteratura e storia russa e docente universitario all’Università di Glasgow. “Il progetto di riproporre l’utilizzo dei lavori forzati in Russia è l’ultimo di una lunga serie di circostanze che hanno lentamente portato la Russia a rivalutare l’esperienza del gulag. Colpisce non solo la proposta in sé, quanto la scelta dei cantieri in cui mandare i prigionieri”, spiega ancora Gullotta, “ma la questione più rilevante adesso è che il progetto, con un certo scarto rispetto al recente passato, non viene solo giustificato, ma addirittura glorificato”.
Gullotta si riferisce ad un articolo pubblicato dall’agenzia statale Ria Novosti, firmato dalla pubblicista e drammaturga Viktoria Nikiforova: “Scrive che, per migliaia di persone che vivevano in povertà, il gulag è stato un ascensore sociale, una mistificazione vera e propria”. Per la Nikiforova non c’è nulla di spaventoso nell’iniziativa della Fsin e “la comunità democratica” che se ne stupisce, non è coscia che il gulag, all’epoca, aiutò a risolvere problematiche sociali: “Non dimentichiamo quale fosse il tenore della vita in Russia dopo la guerra civile”. Per senzatetto e lumpen che pativano la fame, il campo di lavoro, scrive la giornalista, forniva cibo tre volte al giorno, alloggi caldi e visite mediche. Anche il quotidiano Novaya Gazeta si è accorto delle parole dell’autrice che “ha dimenticato di indicare la longevità di quanti entravano in questo ascensore”.
Secondo un recente sondaggio promosso dall’agenzia VTsIOM, il 71% dei russi è favorevole all’idea del ritorno all’utilizzo dei lavori forzati. Ricorda il professore: questo progetto, insieme a molti eventi recenti, “sembrano suggerire che sia in atto il tentativo di cambiare la storia, o renderla più accettabile. Da anni, in particolare a partire dal 2012, lo Stato russo ha cambiato strategia verso il gulag: è stato dimenticato fino a quando, a cavallo tra il 2012 e il 2017, ha investito molto in iniziative mirate a ricordare il tragico passato legato a quelle che in Russia vengono chiamate “repressioni sovietiche”. Parallelamente, organizzazioni e singoli ricercatori impegnati sul tema del gulag sono stati messi a tacere: se da un lato lo Stato sta agevolando la preservazione della memoria dei campi, dall’altro sembra volere mettere a tacere le voci indipendenti che se ne occupano da anni”.
Contro l’iniziativa della Fsin, dal fine esplicito ed inequivocabile, le reazioni di oppositori ed attivisti per i diritti umani sono state nette: è ricreare il sistema dei campi di lavoro chiamandoli con un altro nome, è un nuovo modo di obbligare al lavoro forzato ed è anche un metodo per giustificare una tragedia con cui la Russia non ha mai davvero fatto i conti. Oltre alla Bam, c’è un altro acronimo che i russi ricordano bene: Bamlag, il mastodontico sistema di gulag dove venivano spediti i prigionieri sovietici impiegati nella costruzione della ferrovia.
Per numero di reclusi ed estensione, il campo di lavoro correzionale Bajkal-Amur, creato nel 1932, era uno dei più estesi dell’Unione e contava 200mila prigionieri nel 1938. Ricorda ed omaggia oggi il sacrificio più cruento di quelle centinaia di migliaia di innocenti, condannati a costruire binari a temperature siderali e in condizioni di vita disumane, una lapide che si trova nella città in cui fu costruito il campo, un luogo dal nome paradossale: Svobodniy, “libero”.