di Stefano Casini
Nessuno potrá mai convincerci che, dietro questo stop alle richieste di cittadinanze italiane non c’è nascosto un preciso piano politico. Mentre gli spagnoli ammettono la cittadinanza fino al nonno, gli italiani, in realtà possono chiederla anche attraverso un certificato di battesimo del 1800!!
Insomma, il nostro paese che, appena mezzo secolo fa, aveva qualche centinaio di migliaia di cittadini italiani “non nati in Italia”, oggi ha superato i 6 milioni e, potenzialmente, con una legge che accetta gli avi (quasi) che vestivano un’armatura, potrebbe raggiungere i 20 o 30 milioni se i sistemi consolari facessero il loro lavoro!
Ho ancora amici che aspettano una cittadinanza dopo 10 anni dall’inizio della pratica. Perché? Sin dall’epoca in cui, specialmente in America Latina, le strutture consolari si sono viste inondate da discendenti che volevano la loro cittadinanza per fini socio-economici, il nostro paese non ha mai saputo risolvere un problema che, ormai, è diventato un vero e proprio calvario per coloro che son riusciti a trovare in uno sperduto paesino della Val Tellina, il certificato di battesimo del quadrisnonno di nome Alberto, figlio di Cesare e Maria Rosa, nato nel 1867!!!!
Ora, dopo secoli di insistenza da parte di alcune menti pensanti, siamo arrivati, per lo meno, ad un esame basico di italiano che devono fare coloro che vogliono essere cittadini italiani. Tutti sappiamo che, al 90% (o forse più) i richiedenti di una cittadinanza italiana residenti in America Latina, la vogliono ottenere o per andare a lavorare in Spagna (UE) o per entrare negli USA con un’ESTA per poi rimanere come illegali.
È una dura realtà che i nostri politici non hanno mai voluto affrontare perché, in realtà, lo sanno benissimo che è cosí.
Attraverso un comunicato che spiega: “Alla luce dalla situazione epidemiologica in Uruguay e in coerenza con le disposizioni locali, sono state rafforzate anche a beneficio dell’utenza le misure di prevenzione del contagio da Covid-19. Si informa che è temporaneamente sospesa la prenotazione degli appuntamenti per il Servizio di Cittadinanza; si sta provvedendo a ricevere gli utenti con appuntamenti programmati nel precedente periodo di sospensione del servizio.”
Ricordo che, quando il Direttore di RAI Italia, nel 2005, mi chiese di fare un giro per i principali consolati italiani in America Latina per capire la situazione degli Uffici Cittadinanza, un Addetto Consolare di Santiago del Cile mi disse: “Una volta che entra una richiesta di cittadinanza nel nostro ufficio, possono passare fino a 15 anni per ottenerla”. Lo stesso accadeva, ad esempio, a Porto Alegre o Curitiba, ma anche a Buenos Aires, Cordoba o Caracas. In quell’epoca si inventarono diversi sistemi, persino “i sorteggi”, una specie di lotteria, il cui premio era ottenere che si iniziasse la pratica di cittadinanza. Ricordo anche che, a San Paolo, alcuni anni prima, l’allora Presidente del COMITES, mi disse: “Caro Stefano, se in Brasile tutti i discendenti di italiani si mettessero d’accordo per fare le pratiche di cittadinanza, al ritmo che abbiamo oggi al Consolato di San Paolo, l’Italia impiegherebbe 1.400 anni per dar loro la cittadinanza.”
Questo è un vecchio tema senza soluzioni. COMITES e CGIE, molte volte hanno cercato di chiamare l’attenzione delle nostre autorità, ma senza alcuna risposta. Ricordo anche che, nel 2005, un gruppo di italiani con un certo potere d’acquisto a Porto Alegre, offrí all’allora Console Generale, di pagare viaggi in Italia per la specializzazione e stipendi per alcuni anni a giovani discedenti di italiani con dominio della nostra lingua, per aumentare il numero di funzionari nell’Ufficio Cittadinanze per poter così snellire le pratiche. La risposta del Sindacato MAE fu categorica: NON SI PUÒ FARE.
Quest’ultimo comunicato consolare è l’ennesima dimostrazione che per ottenere una cittadinanza italiana, ci vogliono 10 anni, mentre la gente, intanto muore o si stanca. Cosa c’é dietro questo sistema che non funziona?
STEFANO CASINI