A volte alcuni esponenti della politica italiana rilanciano dichiarazioni scherzose e simpatiche anche quando il periodo non coincide con la stagione di carnevale. È il caso di quegli esponenti del Pd che, qua e là, paragonano addirittura l'esperienza dell'Ulivo con la potenziale alleanza - non si è ancora ben capito, al riguardo, se "storica" o saltuaria - tra il Pd stesso e il partito di Grillo, i 5 stelle.
Ora, francamente e seriamente, ma come si fa a paragonare l'Ulivo e la sua stagione politica, culturale e di governo con una ipotetica alleanza tra il Partito Democratico e il partito di Beppe Grillo? Ma come è possibile confondere una bella, costruttiva ed esaltante stagione della politica italiana come quella dell'Ulivo con un periodo storico caratterizzato dal più spietato trasformismo politico e parlamentare condito da un intramontabile populismo?
Faccio queste banali domande perché, appunto, si leggono riflessioni e paragoni, peraltro legittimi e anche degni di considerazione, che però confondono la politica - almeno come dovrebbe essere concepita e praticata - con la virtualità della politica. Perché, appunto, confondere l'Ulivo e ciò che è stato e che ha rappresentato nella storia del riformismo nel nostro Paese con l'alleanza organica con un partito come quello dei 5 stelle - leader incontrastato del populismo, del trasformismo, del giustizialismo e dell'antipolitica, al di là dei frettolosi e simpatici ripensamenti - ci vuole una creatività e una fantasia non comuni.
Per fermarsi all'Ulivo, però, ci sono almeno 3 postulati costitutivi che confermano l'impossibilità di avventurarsi con qualsiasi paragone del genere che ho succintamente richiamato.
Innanzitutto l'Ulivo era una coalizione che sommava partiti e movimenti con un preciso progetto politico e di governo. Una coalizione nata, appunto, attorno ad un'idea di governo di un paese che metteva insieme le migliori culture riformiste riconducibili a partiti radicati nel territorio ed espressione di una precisa cultura politica. E quindi del tutto estraneo a qualsiasi alleanza improvvisata, alla logica del solo pallottoliere per contrastare il "nemico" e alla sommatoria di culture antitetiche e alternative le une rispetto alle altre. L'Ulivo non era il prodotto di una decadente stagione trasformistica unita solo da un patto di potere contro qualcuno o qualcosa. Ma, al contrario, era una alleanza tra partiti riformisti eredi delle grandi tradizioni culturali del novecento. Che, come ovvio e scontato, non ha nulla a che vedere con il populismo verbale di Grillo.
In secondo luogo l'Ulivo coincise con la stagione del "ritorno della politica" e, soprattutto, della "speranza della politica". Ma secondo voi, seriamente, c'è qualcuno in Italia che pensa che l'alleanza con Grillo e i suoi principali collaboratori coincida con il ritorno della politica? Almeno di quella politica che si riconosce nella tradizione del cattolicesimo democratico, popolare e sociale? O di altre culture riformiste e democratiche di matrice novecentesca?
In ultimo, ma non per ordine di importanza, l'Ulivo si è caratterizzato anche e soprattutto per la qualità di larga parte della sua classe dirigente. Certo, è stata una stagione breve ma, comunque sia, intensa e profonda. Una classe dirigente preparata, competente e capace di affrontare le sfide di quel periodo storico dando risposte precise e pertinenti. Una classe dirigente realmente espressiva di una cultura politica e riconosciuta come tale dalla pubblica opinione. Altroché "uno vale uno" e l'esaltazione come criteri costitutivi della improvvisazione, della casualità e della inesperienza.
Infine, e pur senza infierire oltremodo, sarebbe auspicabile che anche qualche dirigente Dem ci risparmiasse simili paragoni pur di mettere in piedi una coalizione "contro le destre", il "rischio fascista", il ritorno di un possibile clima "illiberale e dittatoriale" e via vagheggiando. Ognuno faccia le coalizioni che vuole, come ovvio e scontato, ma senza confondere il reale con il virtuale. Cioè, senza paragonare l'Ulivo con l'alleanza tra il Pd e il partito di Beppe Grillo. Perché il rispetto della storia, e quindi anche della politica e delle sue dinamiche concrete, richiede quel minimo di onestà intellettuale utile e indispensabile per ridare credibilità e autorevolezza alla politica stessa.
Giorgio Merlo