E se andasse male? Dai magnifici sette incaricati della mediazione non filtra nulla o quasi, si capisce solo che il problema rimane sempre quello, chi dà la linea politica, chi decide dove andare, chi gestirà la partita del Quirinale, per dire. Il Movimento 5 stelle si appende alla mediazione, oggi altro round negoziale, dagli entourage del team del futuro a 5 stelle si spiega che sarà lunga. Sono ore di tattiche e nervosismi, la lettera di cento tra eletti e attivisti che hanno scritto a Beppe Grillo di stare attento, di non farsi fregare, ha colpito il fondatore. Lui stesso si è fatto convincere dai suoi “meravigliosi ragazzi” di sempre, Luigi Di Maio e Roberto Fico - saranno loro ad avere la parola più pesante, quella definitiva, nella pattuglia che lima i cavilli contiani li ha delegati di una mediazione che non lo ha mai convinto fino in fon- do ma della quale capisce le ragioni. E se andasse male? Grillo ha in mente una nuova soluzione nel caso tutto franasse, la tiene lì nel cassetto, la accarezza, solamente accennata ai diretti interessati, se ne parlerà quando e se sarà necessario. È l’idea di un triumvirato che possa traghettare l’M5s senza Conte su approdi se non sicuri almeno non disastrosi, un terzetto composto dagli stessi Di Maio e Fico, affiancati da Virginia Raggi. La sindaca ha respinto i tentativi di Conte della scorsa settimana di portarla dalla sua parte e, complici i difficili equilibri da mantenere in vista del- la campagna elettorale, si è mantenuta su una posizione di terzietà, convinta che una soluzione potesse essere trovata.
E dunque abbiamo i sette mediatori che devono sventare l’uomo solo al comando, mentre i cinque del Direttorio lascerebbero spazio al triumvirato, in una cabala pentastellata che rimane oscura ai più.
Il fatto è che quando Grillo ha provato a convincere i big a candidarsi nel suo Direttorio ha ricevuto risposte gelide, se non dei secchi no. Nessuno vuole ereditare una specie di bad company, nessuno si vuole intestare la guida della guerra a Conte, perché la frattura è tutta personale, tra garante ed ex premier, e lì la si vuole confinare. Un deputato che ne sa, spiega che “al Direttorio pensato da Beppe potevamo avere Dino Giarrusso e Danilo Toninelli, colleghi degnissimi ma come la eserciti la leadership con i colonnelli? Per quella partita di servono i generali”. Come a dire che il rischio è quello di un Direttorio di “pesi medi” che poco o nulla controllerebbe del Movimento 5 stelle, senza contare poi l’ombra del fondatore, che gli rimarrebbe appiccicata inesorabilmente addosso creando una patina preventiva di delegittimazione.
E dunque l’ex comico medita un altro scarto se tutto franasse giù, anche se i tempi lunghi che filtrano dalla stanza dei mediatori accredita la volontà di far decantare le tensioni, ammorbidire le spigolosità dei duellanti, chiudere un accordo che sarebbe per tutti al ribasso, dal quale ci si tornerebbe ad abbracciare con un coltello nascosto nella cintura, ma almeno sarebbe un accordo. Nelle chat dei parlamentari di entrambi gli schieramenti gira all’impazzata lo screenshot di un’intervista al sondaggista Nicola Piepoli, che a Libero affida una previsione: “Nessuno dei due partiti supererebbe l’8%”. E sono sempre più i parlamentari della terra di mezzo, tiepidamente convinti delle ragioni dell’uno o dell’altro, che dopo la sbornia iniziale adesso guardano alla mediazione come unica possibilità di vedersi preservata almeno una speranza di futuro, perché “l’8% di 400 vuol dire 36 -spiega uno dil oro- e con il sistema elettorale attuale anche molti di meno”, alludendo al taglio dei parlamentari e alla fosca previsione che, tra Camera e Senato e considerando le probabili new entry, a riconfermarsi sul seggio sia un uscente su cinque, sempre che tutto vada bene. Per questo la spinta a chiudere è alta, ma si temporeggia perché un accordo ancora non c’è, con Conte che rimane tetragono nella sua volontà di fare il leader dimezzato e Grillo che elabora exit strategy, perché non si sa mai.