Gente d'Italia

Quel gol di Capello: quando li battemmo (per la prima volta) nel loro stadio-tempio

Di Darwin PSTORIN

“L’attesa è lunga, il mio sogno di te non è finito“. Scomodiamo Eugenio Montale per raccontare il senso della nostra speranza, delle ore contate, dei lunghi sospiri: domenica sera, alle 21, nella meraviglia di Wembley, finale degli Europei, l’Italia, la nostra splendida Italia, contro i padroni di casa dell’Inghilterra. Siamo pronti: perché abbiamo un allenatore come Roberto Mancini, che davvero ha raccolto l’eredità di Enzo Bearzot, il condottiero dell’impresa epica del 1982 in Spagna, perché possiamo puntare su un gruppo coriaceo, unito, in grado di mettere insieme la fantasia e la concretezza, un collettivo illuminato dalle giocate di Jorginho, il nostro fine dicitore, estetica e bellezza. Certo, gli inglesi sono tosti: con Kane ormai rinato e quel diavolo di Sterling, che corre come il vento e dispone di una classe infinita. Ma noi, lo abbiamo dimostrato a chiare lettere durante questo nostro lucente cammino, non temiamo niente e nessuno. Nemmeno la squadra di Southgate, che desidera ripetere i fasti del mondiale casalingo del 1966 e conquistare il suo primo Europeo.

Wembley è un richiamo dolce alla nostra memoria, alla nostra storia e alla nostra allegria. È una vicenda che ci riporta agli Anni Settanta, quelli del sogno e della paura, dell’utopia e del rancore. Il 14 novembre del 1973, in quello stadio-tempio, superiamo per la prima volta i maestri del football, mettendo in ginocchio la loro presunzione e anche la loro arroganza. Alla vigilia del match, gli azzurri vengono definiti “una squadra di camerieri”. Con riferimento ai nostri tanti lavoratori, molti ragazzi in cerca di un futuro, e al passato del nostro centravanti Giorgio Chinaglia che, da giovane, dividendosi tra pallone rugby, andava di sera a servire ai tavoli e a fare il lavapiatti nel ristorante del padre a Cardiff, in Galles. Ed è proprio quell’ironia sui nostri immigrati a far scendere in campo i nostri giocatori con il diavolo in corpo. Sono tanti i nostri camerieri presenti sugli spalti di Wembley, con la bandiera tricolore e Il loro senso assoluto di appartenenza. Nostri figli, nostri fratelli: divisi tra consapevolezza e nostalgia.

È la nazionale di Ferruccio Valcareggi, il commissario tecnico che, nel 1970, al Mundial messicano, arrivò secondo dietro al favoloso Brasile dì Pelé, dopo aver messo la firma sulla “partita del secolo”, in semifinale, in quegli indimenticabili, struggenti supplementari: Italia-Germania Occidentale 4-3. Sul prato verde, ecco ora Zoff in porta; Spinosi, Facchetti (capitano), Bellugi e Burgnich in difesa; Benetti, Capello e Rivera a centrocampo; Causo, Chinaglia e Riva in attacco. Gli inglesi di Ramsey presentano il trentaduenne Bobby Moore, carico di gloria e di stanchezza, ormai al passo d’addio, un portiere come Shilton e gente da prendere con le molle come Hughes, Bell, Channon, Osgood e Clarke.

Può mancare la pioggia? No, non può mancare. Così come, davanti all’avanzata frenetica dei bianchi, si dipana il nostro contropiede. Abbiamo la serenità e la caparbietà, la voglia di firmare una pagina da leggenda. Gli italiani urlano, sulle gradinate, più degli inglesi: hanno la voce forte ed aspra delle nostre campagne, delle nostre terre, dei nostri mari, dei nostri paesi. Match spigoloso, Zoff sempre attento, e poi... E poi il destino decide di stare dalla nostra parte. E di regalarci la gioia più intensa, proprio in quello stadio. Accade all’86’. E quell’azione è rimasta scolpita della nostra mente. Da Rivera a Spinosi, il difensore appoggia per Capello: lungo lancio sulla destra per Chinaglia, il cameriere di Cardiff. Giorgione, ingobbito, fa partite un potente tiro-cross. Una di quelle conclusioni beffarde, indecifrabili. Shilton si oppone in tuffo, respingendo coi pugni. E Fabio Capello, mandato da un fato amico, è lì, solo. In area. Pronto a toccare di destro, lievemente. Palla in rete. Ed è solo il tricolore a colorare Wembley.

Sì, siamo stati bravi a “servire” all’Inghilterra il nostro successo. Lavoro portato a termine con bravura e cinismo. Capello, tra l’altro, ha allenato la nazionale inglese dal 2008 al 2012.

Ora rieccoci a Wembley, a testa alta, con ancora tantissimi italiani che tiferanno per noi: Siamo decisamente pronti per una nuova impresa. E a far ancora piangere i bianchi Leoni, come in quel lucente e abbagliante 1973.

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