di Ugo Magri
Chiaro che non lo ammetterà mai. Ma del patto appena stipulato tra Conte e Grillo il più felice è senz’altro Salvini. Perché a dirigere i Cinque stelle sarà colui che, per come si è mosso finora, per i piani che gli frullano nella mente, può rivelarsi il suo migliore alleato: l’Avvocato del popolo. Chiaro che i due non si amano: il disprezzo personale è reciproco, mai prenderebbero un caffè insieme. Eppure, all’atto pratico, l’ex premier regge il sacco del Capitano. Complica la vita a sinistra senza pretendere nulla in cambio; spinge verso destra gli equilibri di governo, anche in questo caso completamente gratis. Aiuta Salvini a rifarsi un’immagine da moderato. E forse in futuro, per dispetto a Draghi, gli spianerà la strada verso i “pieni poteri”. Se Conte non esistesse, Matteo dovrebbe fabbricarlo in 3D. Mettendoci nei suoi panni stapperemmo champagne.
Esempio numero uno. Fino a un mese fa non si parlava altro che di “sorpasso”, quello dei Fratelli d’Italia a danno della Lega. E più l’argomento impazzava sui media, più la Meloni ne approfittava per crescere, classica profezia che si auto-avvera. Finché Conte non ha deciso di scrollarsi il padre padrone. Risultato: i riflettori si sono tutti concentrati lì. Salvini si è asciugato la fronte, del “sorpasso” a destra non importa a nessuno. Guarda caso su YouTrend (che fa la media dei sondaggi in circolazione) la Lega ha smesso di sprofondare, Giorgia di arrampicarsi. San Giuseppe ha fatto un primo grande miracolo.
Ed ecco il secondo. Con i suoi attacchi alla riforma Cartabia, il neo-leader ha trasformato Salvini in una sorta di Montesquieu: liberale e quasi moderato, rispettoso dei diritti, garante sincero della civiltà giuridica. Oltretutto un personaggio affidabile, pronto a sostenere il governo nei passaggi più complicati, insomma l’esatto contrario della modalità Papeete. Chi conosce Matteo (giustamente) non se ne fida, presto o tardi di sicuro lo rifarà. Però intanto assistiamo a uno scambio di ruoli: l’ex premier diventato capopopolo che soffia sul fuoco giustizialista, mentre l’uomo della ruspa leva la felpa e indossa l’abito buono. La “ripulita” di cui aveva bisogno. Non solo. Più Conte fa la makumba a Draghi, più Salvini diventa colonna portante dell’equilibrio politico. Nei confronti del governo di larghe intese si comporta da Lord protettore. Divide et impera; tronca e sopisce. Sulle bancarelle leghiste vende i risultati di Super-Mario come se fossero suoi. Puntella il governo e intanto lo condiziona. Il fidato Giorgetti riesce sempre a scucire il massimo: alla Lega la “ciccia” dei provvedimenti, per tutti gli altri qualche contentino.
Ma il bello deve ancora arrivare. Secondo gli spifferi grillini, l’ultima tentazione di Conte, cioè la prima del nuovo corso, consisterebbe nel mollare il governo; o quantomeno nel prenderne le distanze, profittando del “semestre bianco” per riguadagnare libertà d’azione, anche a costo di azzoppare le ambizioni di Draghi, mettendo in conto di farlo cadere. Tra meno di un mese, dal 3 agosto, Mattarella non potrà più sciogliere il Parlamento; in caso di crisi senza sbocco, ci ritroveremmo un governo per gli affari correnti infarcito di ambasciatori, generali e prefetti. Salterebbero le riforme, sfumerebbero i miliardi del Recovery Fund, i mercati ci chiederebbero il conto. Però nessuno dovrebbe risponderne agli elettori perché, appunto, non si potrà votare. Non subito, perlomeno. Dunque il momento giusto per passare all’azione, suggeriscono gli stessi scienziati di cui Conte si era fidato a gennaio, con l’esito che sappiamo. L’ex premier, a quanto pare, ci sta ragionando. Da nuovo leader del Movimento, è lì che valuta i pro e i contro.
Ecco: se ciò accadesse sarebbe l’ultimo definitivo regalo alla Lega. Perché il “liberi tutti” non durerà in eterno. La ricreazione finirà a gennaio con l’elezione presidenziale. Senza un governo degno di questo nome, chiunque emerga dal bussolotto è quasi certo che ci manderà alle urne. In aprile, al massimo a maggio: proprio come Salvini desidera e, con l’avvento di Draghi, non osava più sperare. Ma adesso arriva Conte, e chissà che non sia lui a levargli le castagne dal fuoco.