di Franco Manzitti
Il mare seppellì la vittima, 50 anni fa, il mare si è preso l’assassino, mezzo secolo e un quasi ergastolo dopo. Lorenzo Bozano, il 25 enne biondino della spyder rossa, condannato mai confesso per l’uccisione di Milena Sutter, 13 anni e una vita davanti a sé, è morto per un malore nel mare dell’Elba.
A 200 km da lì, nel mare di Genova, provò, secondo la sentenza definitiva, a nascondere il corpo della bambina.
Ma il mare, giustiziere, rifiutò il macabro compito e due settimane dopo l’assassinio fece riemergere il cadavere, benché tutto avvolto nei pesi da subacqueo che dovevano garantirne la permanenza sul fondo. C’è una terribile coincidenza nella vicenda di Lorenzo Bozano e Milena Sutter, l’assassino e la sua giovanissima vittima.
È un giallo di 50 anni fa, riemerso nella memoria quando è stato trovato il corpo senza vita di quel killer, al largo delle spiagge dell’Isola d’Elba. Si trovava in semilibertà, dopo avere scontato un ergastolo, incominciato nel lontano 1978.
Il destino della povera Milena si era compiuto definitivamente dopo 14 giorni di una angosciosa attesa, in un giorno di maggio del 1971. Il suo corpo di tredicenne, alunna della rinomata Scuola Svizzera, figlia di una solida famiglia elvetica, trapiantata a Genova. E titolare di una importante ditta di produzione di cere, lucidi, prodotti per la pulizia, ancora oggi in grande espansione, era tragicamente riemerso nel mare di Priaruggia, una spiaggia dolce del Levante genovese. Dopo giornate terribili per la sua famiglia, ma anche per tutta Genova e per l’Italia intera, sconvolte dalla scomparsa della ragazzina all’uscita di scuola.
Si era compiuto quel destino con la identificazione di quel povero corpo, offeso dalla permanenza in acqua, perfino mangiato dai pesci e riconosciuto con un’operazione terribile, attraverso quella catenina al collo. Fece piangere perfino il leggendario capo della Squadra Mobile Angelo Costa, detto Angiulin. Unico poliziotto genovese e ex partigiano in una Questura tutta di meridionali, che coordinava le indagini per la scomparsa.
E oggi, appunto dopo cinquanta anni, ancora una volta è il mare che mette la parola fine alla storia, incominciata con il sequestro e diventata tragica con quel ritrovamento.
Nuotando al largo di una spiaggia dell’isola d’Elba è morto di un malore improvviso, a 76 anni d’età, Lorenzo Bozano il “biondino della spyder rossa”, come lo definì per primo Mimmo Angeli, il compianto direttore de “Il Corriere Mercantile”, storico giornale del pomeriggio di Genova.
Bozano aveva trascorso quasi cinquanta anni dietro le sbarre a Porto Azzurro, dove aveva pagato la sua pena quasi per intero. Lo aveva arrestato l’ultima volta la gendarmerie francese per una banale infrazione stradale dopo la sua rocambolesca fuga dall’Italia. Mentre a Genova celebravano il suo processo di secondo grado, davanti alla Corte d’Assise d’Appello. Era l’anno 1975 e la sentenza era prossima ad essere capovolta: da una clamorosa assoluzione all’ergastolo secco.
Lo avevano beccato con la moglie, una ragazza di Brescia che lo aveva conquistato mandandogli le sue foto porno durante la breve iniziale detenzione a Genova. Perché non indossava le cinture di sicurezza.
Era stato estradato subito in Italia, con qualche forzatura procedurale e spedito in carcere all’Isola d’Elba.
Questa storia il mare “sigilla” perché il carnefice e la vittima ne sono accomunati in qualche modo. Seppure distinguendo tra la fine violenta subita da Milena, prima di essere affondata tra le onde e Bozano, ucciso da un malore. Allora aveva segnato molto l’opinione pubblica. In un modo che oggi può apparire quasi ingenuo e toccato Genova indelebilmente per decenni.
Ma Genova e la società in generale allora erano molto diversi, certamente meno abituati a esplosioni criminali tanto forti come il sequestro e la morte di una tredicenne.
Genova era una grande città di quasi 900 mila abitanti, industriale e portuale, che aveva da poco subito l’alluvione terribile del 1970. Ma anche il sequestro a lieto fine di Sergio Gadolla. Un altro figlio, come Milena, di una solida borghesia, che allora sembrava tranquilla e non certo minacciata da quello che sarebbe incominciato proprio allora. Tra la malavita dei sequestri di persona e il terrorismo che rapiva e rapinava per finanziarsi.
Era una città in qualche modo sicura, che si poteva aspettare un lieto fine come la liberazione, comunque, del giovane
Bozano era un balordo, che viveva di espedienti. Praticamente ripudiato dai parenti. Che lo definivano come un ragazzo senza speranze di futuro. Un maniaco sessuale, che era stato già sorpreso nei supermercati a caccia di ragazze. Da sbirciare grazie a piccoli specchietti che si piazzava sulle scarpe per guardare sotto le gonne. Apparteneva a una famiglia alto borghese, era un figlio degenere senza studi e occupazione e girava su una sgangherata spyder rossa.
Prima che apparisse inequivocabilmente come l’imputato colpevole c’erano state addirittura marce di cittadini sotto la Questura per chiedere giustizia.
L’iter giudiziario di quella vicenda così sconvolgente aveva moltiplicato l’attenzione e la reazione, dopo quella prima clamorosa assoluzione “per insufficienza di prove” del “biondino”. E la sua scarcerazione, malgrado l’accusa avesse raccolto ben 44 indizi della sua colpevolezza.
Ne riportiamo alcuni, attingendo a una cronaca dell’epoca.
1) il progetto di un rapimento scritto su un biglietto con la conclusione: «murare, seppellire, affondare»;
2) la frase, detta agli amici in pizzeria: «Se dovessi sequestrare qualcuno, prenderei i soldi e poi l’ammazzerei, per non essere scoperto»;
3) la mancanza di un alibi proprio per l’ora del rapimento, fra le 17 e le 18;
4) la sua presenza, notata da varie persone, per più giorni prima del rapimento, presso la scuola e la casa di Milena, a bordo della «Giulietta spider» rossa.
Il Pm che lo accusava, un gigante della Procura di Genova, Nicola Marvulli, che sarebbe diventato molti anni dopo primo presidente della Corte di Cassazione, aveva scagliato la toga per terra alla lettura dell’assoluzione. Sentenza costruita da un presidente Napolitano (nessuna parentela) e da una giuria popolare che avevano accolto la tesi del dubbio. Dopo una strepitosa arringa di un grande penalista italiano, l’avvocato Giuseppe Sotgiu, affiancato da un giovane legale genovese, Silvio Romanelli.
Un altro grande penalista genovese Marcellini, aveva abbandonato la difesa del “biondino” durante la fase istruttoria. Sembra perché l’imputato aveva rifiutato di seguire una linea che lo avrebbe portato a confessare una responsabilità evidente in cambio di una pena meno severa.
Allora i processi, celebrati nel vecchio Palazzo Ducale, erano veri e grandi spettacoli con l’accusa e la difesa che si confrontavano con requisitorie e arringhe, capolavori di oratoria.
Nel processo Bozano si affrontarono, in primo e in secondo grado, veri leoni del foro, alla difesa all’accusa e nella parte civile, che assisteva la famiglia della povera Milena. Avvocati come Luca Ciurlo, Alfredo Biondi, Gustavo Gamalero, Ugo Failla, Giovanni Gramatica.
In questo modo la storia di Bozano, assolto e in fuga, poi catturato, condannato, sepolto in carcere. Poi in semilibertà, coinvolto in un nuovo caso di molestie fatte, ancora una volta in un supermercato quaranta anni dopo gli exploit genovesi, a Porto Azzurro. Ancora una volta vittima una ragazzina e nuovamente incarcerato fino alla seconda semilibertà di tre anni fa, era diventata una storia senza una fine.
Lui continuava a chiedere un processo di revisione. Riaffacciandosi come un fantasma perfino a Genova, facendo baluginare nuove e sconvolgenti prove di innocenza.
Bozano non si è mai dichiarato colpevole anche davanti all’evidenza, confermata proprio da quell’episodio, appena ottenuta la prima semilibertà.
I cari di Milena, la madre ancora chiusa nel suo dolore, il fratello Aldo, che ora conduce l’azienda di famiglia, tengono per loro, dal primo momento, i sentimenti rispetto a quell’uomo. Che ogni tanto cercava di riapparire nelle loro vite, appunto come una fantasma cattivo.
Il mare lo ha sepolto, come il mare aveva restituito Milena. Finalmente su questo caso cala un giusto silenzio.