La gigantesca scultura in granito del Monte Rushmore è parte integrante di un Parco Nazionale visitato ogni anno da milioni di turisti. Negli uffici museali documenti ed atti riportano fedelmente tutte le procedure per la realizzazione dell'opera: incarichi, commissioni, tempi di realizzazione, procedimenti tecnici, personale impegnato nella lavorazione. Ma fino agli anni '80 le targhe commemorative, gli atti ufficiali e la storia ignoravano un nome. Il nome di un personaggio senza il quale forse la scultura non ci sarebbe stata o sarebbe certamente diversa. Si trattava di colui che era stato il capo della squadra di scalpellini che ad altezza vertiginosa , respirando polvere e resistendo al vento, aveva scolpito quei volti giganteschi. Il nome della persona "dimenticata" era un nome italiano: LUIGI DEL BIANCO.
A togliere dall'oblio quel nome e a consegnarlo alla Storia erano stati proprio Cesare Del Bianco e Lou del Bianco, rispettivamente figlio e nipote di Luigi senior, con la loro determinazione nello scovare e rintracciare documenti, contratti e dichiarazioni nascosti o dimenticati.
Luigi Del Bianco Senior era originario di Meduno, un paese a pochi kilometri da Pordenone, dunque friulano doc.
Il Monte Rushmore è uno dei monumenti "simbolo" degli Stati Uniti, visitato ogni anno quasi da tre milioni di persone.E' uno dei primi cinque luoghi più visitati dagli americani, luogo che un buon americano "deve" vedere almeno una volta nella vita. Utilizzato come set da numerosissimi film, quello più famoso è senza dubbio "Intrigo Internazionale" di Alfred Hitchcock, dove alla fine Cary Grant rimaneva appeso con Eva Marie Saint a fianco dell'enorme occhio di Lincoln (ma la scena venne girata in studio e i due non erano affatto "appesi" nel vuoto...).
Abbandonata l'Interstate, dunque, e percorrendo la "statale" 244 est, ecco che improvvisamente, di profilo, mi si è presentato il primo dei quattro volti scolpiti nel granito. Per conoscere la loro storia, bisogna tornare al 3 marzo 1925, quando il Congresso americano approvò il progetto per la realizzazione di un "memoriale" che rappresentasse per sempre i padri fondatori degli Stati Uniti. Sarebbero stati volti scolpiti nel granito della montagna e ai primi cinque si sarebbero aggiunti via via, tutti i Presidenti.
Ad eseguire l'opera su una montagna del Sud Dakota - peraltro luogo considerato sacro dai nativi americani - venne incaricato lo scultore di origini danesi Gutzon Borglum che, dopo un avvio incerto, iniziò a modellare a colpi di martello pneumatico i volti di George Washington, Thomas Jefferson, Theodore Roosevelt e Abraham Lincoln. Borglum si trovò nei pasticci quando dopo una banale discussione venne abbandonato dal suo capo scultore: fu quel giorno che decise di sostituirlo con un giovane scalpellino italiano che aveva conosciuto anni prima nel suo studio del Connecticut, e che lavorava in quel cantiere.
Si chiamava Luigi Del Bianco il giovane scultore, (anzi, "scalpellino", la qualifica inferiore): era nato a Le Havre, in Francia, ma era italiano di Meduno, provincia di Pordenone, Friuli Venezia Giulia. I suoi genitori Vincenzo ed Osvalda rientravano proprio da un viaggio negli Stati Uniti quando il piccolo Luigi, evidentemente, aveva fretta di nascere.
Una vita non certo noiosa, la sua. A Meduno - e precisamente nella frazione "Del Bianco", dalla quale la sua famiglia ha tratto evidentemente il cognome - restò fino agli undici anni, quando cioè trovò lavoro come scalpellino in Austria. Si lavorava e si emigrava presto, agli inizi del '900 nel nordest italiano. E infatti Luigi Del Bianco emigrò ancora più lontano cinque anni dopo: negli Stati Uniti. A 16 anni partì per Port Chester, nello Stato di New York, ma il suo lavoro era a Barre, in Vermont, considerata la "Massa Carrara" americana, dove il nostro continuò a fare il solo mestiere che sapeva fare: lo scalpellino. Aveva l'animo ballerino, il nostro Luigi: quando l'Italia entrò nella Grande Guerra, lui riprese la nave e tornò a casa, perché volle arruolarsi come volontario. A 23 anni. Altri tempi, sì. Ma evidentemente la voce dell'America gli rimase dentro; e dunque, finito il Primo Conflitto mondiale, attraversò ancora una volta l'Atlantico, questa volta per rimanere per sempre. Anche perché fu agguantato da una giovane italiana, Nicoletta Cardarelli, che uno dopo l'altro gli scodellò cinque figli: Teresa, Silvio, Vincenzo, Cesare e Gloria.
Ed è stato proprio Cesare, prima, con il figliolo Lou dopo, a far uscire dall'oblio la storia praticamente sconosciuta di Luigi Del Bianco, un italiano che ha fatto con le proprie mani un pezzo di Stati Uniti d'America. Glielo raccontava sempre, il padre, che all'inizio degli anni '20 aveva iniziato a collaborare con un bizzarro scultore di origini danesi, Gutzon Borglum. E che proprio qualche anno dopo, nel 1924, questi ricevette l'incarico di studiare il progetto dei volti dei Padri della Patria americani. La fortuna del nostro fu, insomma, quella lite fra il capo e il suo "primo scultore" Hugo Villa: fu a quel punto che Borglum promosse a quella carica Luigi Del Bianco: "Egli ha il valore equivalente di tre uomini che io posso trovare in America per questo tipo di lavoro", scrisse Borglum nel proprio diario... Avrà avuto anche il valore di tre uomini, ma l'aumento di stipendio promesso - da 90 cent a 1 dollaro e mezzo l'ora - non arrivava. E allora non ci pensò due volte, il nostro scultore friulano, a girare i tacchi. Se ne andò all'inizio del 1935 interrompendo per sei mesi i preziosi lavori di rifinitura dei volti di Washington e Jefferson.
Del Bianco i sei mesi di assenza dal lavoro li recuperò presto, forse anche stimolato dall'aumento dello stipendio finalmente arrivato. Ma soprattutto dall'ordine del giorno che Gutzon Borglum scrisse di suo pugno nel quale veniva stabilito che "tutti i trapanatori di ogni genere, gli sgrossatori, i finitori e gli scultori dei lineamenti" avrebbero lavorato da quel momento in poi "sotto la supervisione del capo-scultore Del Bianco".
Soltanto da questa foto d'epoca ci si può rendere conto di quanto sia davvero colossale l'opera: i visi sono alti 18 metri, gli occhi larghi ognuno tre metri, mentre i nasi presidenziali misurano ben sei metri.
Nel 1936 venne completato il viso di Thomas Jefferson (quello che nella dichiarazione di Indipendenza americana scrisse del "diritto alla ricerca della felicità"...), l'anno dopo quello di Lincoln e nel '39 quello del Presidente Roosevelt.
Il "Mount Rushmore National Memorial" venne inaugurato il 31 ottobre 1941, 37 giorni prima dell'attacco giapponese a Pearl Harbor.
A quel punto gli americani avevano altro da fare, con i nazisti in Europa e i giapponesi in Asia. Il completamento del progetto fu sospeso e da allora i volti dei Padri della Patria rimasero quelli.
Nessuno negli Stati Uniti aveva mai conosciuto la storia - e in fondo l'esistenza - del "capo-scultore Del Bianco". Si incaponì uno dei suoi figli, Cesare, che dagli anni '80 iniziò a spulciare gli atti relativi al progetto e alla nascita del "Mount Rushmore National Memorial" scovandoli nell'Archivio Nazionale e negli atti ufficiali conservati alla Libreria Centrale del Congresso degli Stati Uniti, il Parlamento americano. Doveva assolutamente trovare conferma e rendere nota a tutti l'incredibile storia che il padre gli aveva sempre raccontato con tanto orgoglio.Tra l'altro scoprì che fu proprio suo padre a capire come poteva rendere più brillanti e visibili le pupille del Presidente Washington: inserendo, cioè, negli occhi pietre di granito a forma di cuneo, cosicché la luce potesse riflettere. Non fosse stato per la testardaggine del figlio Cesare, che oggi vive in una casa di riposo, nessuno avrebbe saputo della storia dello "scalpellino" (pardon, del "capo-scultore") Del Bianco, venuto dalle montagne del Friuli e morto nel Nuovo Mondo nel 1969. Raccolta e resa pubblica dal figlio tutta la documentazione, 22 anni dopo la morte, il capo-scultore Luigi Del Bianco ebbe il riconoscimento ufficiale postumo: un annullo speciale emesso dalle Poste americane, con il suo nome e la sua foto.
Chissà come si sentirebbe, il capo-scultore Luigi Del Bianco, se sapesse che oggi ha un posto d'onore all'interno dell'Italian American Museum che è al 155 di Mulberry St, in piena Little Italy di Manhattan... Una visita che fa piangere il cuore. Come quella a Ellis Island, primo pezzo d'America toccato da milioni di italiani che hanno trovato una speranza nel Nuovo Mondo. Come quel ragazzino che arrivò dalle montagne del Friuli con i pantaloni corti e uno scalpellino in mano.