Dopo un anno e mezzo di pandemia qualcuno potrebbe pensare che il tema del diritto alla salute sia stato sviscerato in ogni suo aspetto, al centro del dibattito pubblico e privato per tutti questi mesi, tuttavia non è così. Il Covid-19 ha acceso i riflettori collettivi sulla sanità evidenziandone aspetti positivi e negativi, ma con riferimento ad una specifica situazione di fatto che ci siamo trovati a fronteggiare.
Il tema del diritto alla salute è in realtà molto più ampio e al suo interno troviamo tante altre sfide e questioni tuttora irrisolte. Per questo motivo è innanzitutto importante interrogarsi sul significato e la portata del concetto di "diritto alla salute".
Il suo fondamento è costituito dall'Art. 32 della nostra Costituzione che recita: "La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana".
La salute viene quindi tutelata dal nostro ordinamento in diverse prospettive, come diritto ad essere curati e diritto di scegliere di non curarsi, sia come diritto del singolo che come interesse della collettività.
Si tratta di un diritto universale, che almeno in astratto dovrebbe essere garantito a chiunque, cittadini e stranieri, regolari e irregolari, ricchi e poveri.
Tuttavia queste importanti affermazioni di principio si scontrano, nella realtà dei fatti con molteplici problematiche in ordine all'effettività di esercizio e accesso a tale diritto.
Infatti le cure sanitarie garantite a chiunque sono quelle di primo soccorso indifferibili caratterizzate dall'urgenza, mentre i cosiddetti piani terapeutici a lungo termine e in generale tutte le prestazioni di prevenzione o di routine richiedono l'iscrizione al Servizio Sanitario Nazionale, che a sua volta comporta diverse richieste di adempimenti burocratici (ad es. residenza anagrafica) non sempre accessibili da tutti e per quanto riguarda gli stranieri strettamente correlate alla regolarità della permanenza sul territorio nazionale.
Il diritto alla salute è quindi sì un diritto astrattamente universale ma nella pratica non è spesso effettivo, permanendo difficoltà di accesso e esercizio del medesimo.
Sono quanto mai attuali le considerazioni che emergono dalla lettura del libro bianco "l'Equità nella salute in Italia. Secondo rapporto sulle disuguaglianze sociali in sanità" pubblicato nel 2014. Negli ultimi decenni la salute della popolazione italiana è costantemente migliorata, comportando un aumento dell'aspettativa di vita e una riduzione della morbosità in termini di incidenza e impatto sulla qualità della vita per molte categorie. Tuttavia questo miglioramento non può essere definito generalizzato poiché continuano a persistere rilevanti discrepanze legate ai gruppi sociali. Molteplici studi hanno a più riprese affermato che maggiormente si sia benestanti, istruiti e residenti in aree dotate di risorse e opportunità socio economiche, tanto più si tende a presentare un profilo di salute più sano. Agevolare l'accesso all'esercizio effettivo del diritto alla salute da parte di tutti permetterebbe almeno in parte l'eliminazione delle suddette disuguaglianze.
Ed è in questa prospettiva che è possibile parlare di diritto alla salute come diritto collettivo poiché assicurare l'assistenza sanitaria ai singoli permette, come è stato reso evidente dalla gestione della pandemia da covid-19, tutelare l'intera comunità anche in ottica di prevenzione.
Parlare di diritto alla salute è quindi in questa prospettiva fondamentale, perché trattare i delicati temi dell'accesso all'assistenza sanitaria da parte delle persone più vulnerabili, quali i senza fissa dimora, permette di accendere i riflettori sullo sviluppo e il benessere dell'intera collettività per individuare le sfide che sono tuttora aperte e le migliori strategie da attuare per il futuro.
Volontaria Avvocato di strada