Nel patrimonio della Santa Sede ci sono oltre 5 mila immobili. Si tratta di 4.051 unità immobiliari in Italia: il 92% nella Provincia di Roma (la maggior parte, il 64%, nelle zone adiacenti alla Città del Vaticano), il 2% tra Viterbo, Rieti e Frosinone, il 6% fuori dal Lazio. Circa 1.200 sono invece gli immobili gestiti all’estero tra Londra, Parigi, Ginevra e Losanna, e in Italia dalle società partecipate.
“Il 14% delle unità sono destinate al libero mercato mentre il rimanente 86% è funzionale alle necessità istituzionali e/o per dipendenti e pensionati della Curia romana” spiega il presidente di Apsa, Nunzio Galantino “Nel Bilancio analitico - prosegue parlando con Vatican news - sono riportati i dati di dettaglio relativi alla composizione del patrimonio e alla sua gestione. In funzione del diverso indirizzo e della natura degli immobili è possibile suddividerli in quattro tipologie di portafoglio: Libero Mercato (immobili con canoni di mercato); Canone agevolato (immobili destinati ai dipendenti e/o pensionati vaticani a canoni agevolati); Canone nullo (immobili in uso a Dicasteri, alti prelati, ordini religiosi..., in regime di gratuità); altri immobili emersi dal censimento immobiliare, oggetto di approfondimento”.
Gli immobili sfitti consistono in 688 unità, di cui 288 sono unità pertinenziali: le rimanenti sono così suddivise: 39 unità da alienare; 89 unità con destinazione residenziale che verranno ristrutturate dall’Apsa (progetto denominato “Maxilotti”) con inizio lavori previsto del 1° lotto a gennaio 2022 e fine lavori complessiva prevista per primavera 2023 e con inizio della commercializzazione a decorrere dalla primavera 2022; 43 unità già assegnate con contratto in corso di formalizzazione; 192 unità non commercializzabili perché interessate da problematiche tecniche/urbanistico/catastali
Il bilancio Apsa. La crisi innescata dal Covid-19 ha falcidiato nel 2020 le finanze della Santa Sede, le cui autorità ritengono comunque che si sia andati meglio delle previsioni più fosche e che il peggio sia stato evitato. Il bilancio consolidato della Santa Sede vede il deficit salire a 66,3 milioni di euro, contro quello di 11,1 milioni del 2019. Ma considerando che le previsioni parlavano di un disavanzo molto più alto (97 milioni di euro), alla fine il danno viene considerato limitato. “I dicasteri hanno agito responsabilmente nella spesa e le entrate sono diminuite meno del previsto. Le spese sono state ridotte”, a 314,7 milioni di euro, sottolinea il prefetto per l’Economia, il padre gesuita Juan Antonio Guerrero Alves, in un’intervista ai media vaticani. A pesare è soprattutto il fatto che “le entrate totali sono diminuite di 58,5 milioni di euro, il 19%, tutte su entrate generate internamente che dipendono dai visitatori e dalla situazione economica generale”. Le donazioni, invece, sia quelle dedicate che quelle provenienti dalle diocesi del mondo, sono rimaste praticamente invariate, passando da 55,8 milioni del 2019 a 56,2 del 2020. Il rendimento degli investimenti finanziari, inoltre, è stato inferiore di 51,8 milioni di euro e anche il risultato straordinario è sceso di 17,8 milioni.
Un anno difficile, quindi, che ha richiesto ai dicasteri vaticani di ridurre le spese, in cui si è attinto in misura minore rispetto al passato dall’Obolo di San Pietro per sostenere il servizio dei dicasteri per la missione del Papa ma si sono aiutate maggiormente le Chiese nei Paesi più colpiti dalla pandemia. ”È un bel gesto che alcuni dicasteri legati alle Chiese più bisognose di aiuto, oltre a ridurre le spese su molte altre cose hanno aumentato i contributi a queste Chiese per le necessità causate dal Covid”, spiega ancora Guerrero Alves. In termini di entrate, poi, “avevamo preventivato 269 milioni di euro prima del Covid e sono state 248,4 milioni”. Infine, i dicasteri con più investimenti “hanno potuto contribuire quest’anno con più denaro alle spese dei dicasteri di missione, cioè quelli finanziati dall’Obolo, riducendo così la necessità di ricorrere all’Obolo”.
L’incidenza della crisi-Covid è stata pesante anche sul bilancio dell’Apsa (Amministrazione del Patrimonio della Sede apostolica), la “cassaforte” della Santa Sede, pubblicato per la prima volta, da cui emerge un risultato gestionale di 21,99 milioni di euro, in calo di 51,2 milioni rispetto al 2019 (era di 73,21 milioni). La gestione mobiliare ha prodotto un risultato di 15,29 milioni (-27,1 rispetto al 2019), la gestione immobiliare di 15,25 milioni (-8,3), le “altre attività” un disavanzo di 8,56 milioni (con un calo di 15,8 milioni sul 2019). Malgrado i “ridotti risultati economici”, l’Apsa ha però contribuito per 20,6 milioni alla copertura del deficit di Curia.
Tra gli aspetti da sottolineare, in questo momento di crisi dovuto alla pandemia, il presidente mons. Nunzio Galantino evidenzia “la pronta e concreta attenzione rivolta a quanti - soprattutto esercizi commerciali - occupano locali di proprietà o comunque gestiti dall’Apsa”. ”È stata data la possibilità, in casi documentati - spiega -, di godere della riduzione del canone e di dilazione di una parte del canone stesso”.
“Se parliamo in termini tecnici e di risultati - prosegue Galantino sempre a proposito del vasto patrimonio immobiliare dell’Apsa -, quello che abbiamo fatto non ci colloca in territorio positivo, come si usa dire in ambito gestionale. Ha provocato infatti una riduzione del reddito derivante dalle locazioni”. “Per noi però - rivendica - rimane un risultato positivo. Nel senso che ha fatto emergere la volontà di essere e continuare a essere e a comportarci ‘da Chiesa’, anche in un momento di grave crisi per tutti”.