E dire che negli Stati Uniti la concorrenza, fortissima, nel campo dell'abbigliamento sportivo non manca davvero. Quasi inutile fare i nomi: da Nike a New Balance, solo per restare poi al made in USA. Ma anche in questo campo quando si parla italiano, beh è tutta un'altra cosa. E lo dimostra un brand storico come Diadora fondato nel 1948 a Caerano di San Marco, comune di nemmeno 8.000 abitanti dove ancora oggi il gruppo ha la propria sede principale.
Una storia che partì con gli scarponi da montagna, una idea di Marcello Danieli, detto Ottavio perchè ultimo di otto fratelli, che con la moglie e un socio, Rinaldo Menegon iniziò un'avventura tutta artigianale. Dal nulla a marchio mondiale il passo fu anche breve, ma ancora più rapida la discesa dalle vette al curatore fallimentare. Poi però ecco Enrico Moretti Polegato e un risanamento compiuto nel 2016 per ricominciare la scalata e ora dagli Stati Uniti è appena arrivata un'ottima notizia, fatturato triplicato e previsioni, per la fine dell'anno di ricavi per 9,7 milioni di euro, l'anno scorso erano stati 3,2. E adesso gli obiettivi si fanno sempre più importanti: infatti si vogliono raggiungere, nel 2023 i 25 milioni.
Un traguardo ambizioso e possibile negli Stati Uniti dove Diadora rappresenta un brand che porta con sè il meglio del made in Italy, un fascino che per gli americani va dai prodotti per il jogging come anche al calcio, sport che se a livello professionistico ha registrato grandi crescite negli ultimi anni, a livello scolastico rappresenta invece da sempre una delle discipline più seguite sia a livello maschile e soprattutto femminile. Ma oltre a un fashion che si può trovare solo in Italia, Diadora sta aggiungendo anche innovazioni tecnologiche che non hanno eguali nel mondo: una delle più particolari e suggestive è rappresentata da un materiale alternativo alla pelle da usare per le scarpe che viene ricavato addirittura dalla buccia dell'uva.