di Giorgio Oldoini
La Riforma Cartabia della giustizia italiana è frutto del compromesso tra forze politiche ed un successo personale di Draghi che può presentarsi in Europa come il più grande innovatore dell’ultimo mezzo secolo.
Non è un successo da poco perché nessun Parlamento aveva mai osato legiferare in contrasto con i dettami del CSM, delle correnti dell’ANM e dell’élite giudiziaria militante.
La Riforma non affronta tuttavia i problemi reali della nostra Giustizia, specialmente in materia economica (che era il target europeo): cerchiamo di capire perché.
Nessuno può essere punito in forza di una legge che sia entrata in vigore dopo il fatto commesso. Questo principio costituzionale non vale per i giudici, i quali possono innovare improvvisamente la propria giurisprudenza. Ed applicarla a tutte le situazioni precedenti per le quali non sia intervenuta la prescrizione.
I giudici possono arrestare un cittadino per un fatto che la loro stessa giurisprudenza non considerava reato nel periodo in cui è stato commesso. In ciò consiste la superiorità del magistrato rispetto al legislatore. Con l’aggravante che il primo risponde soltanto a se stesso.
Non servivano facoltà divinatorie, per capire la sorte che sarebbe toccata alla nostra classe dirigente, a mano a mano che avanzava la coscienza dell’impunità all’interno della Magistratura.
Rivoluzione giudiziaria e impunità - Le prime avvisaglie si sono avute verso la metà degli anni settanta con l’“innovazione” secondo cui l’amministratore di una cassa di risparmio o di un ente economico a PS era equiparato ad un pubblico ufficiale. Dopo qualche anno la stessa Cassazione avrebbe cancellato quel filone della giurisprudenza.
Nel frattempo, centinaia di persone per bene, subirono l’onta dell’arresto e cambiarono per sempre il corso della propria vita. Ma il cammino della giustizia politica continuò inesorabile. Le teste d’uovo di sicura fede democratica concepirono, per via giurisprudenziale, nuove figure di reato. Si poteva essere mafiosi concorrendovi dall’esterno. Tre testimonianze di assassini “pentiti” potevano costituire prova.
Il sindaco di un comune o il presidente di un Ente come l’Iri, potevano aver commesso il reato d’abuso d’ufficio, senza bisogno di provare qualche dazione o forma di corruzione individuale. Era sufficiente che un perito di fiducia del Pm valutasse un’opera pubblica sulla base di un costo inferiore a quello dell’appalto.
L’idea fissa dei magistrati di quel filone storico era quella di colpire i “colletti bianchi”. Sotto i governi “democratici” è stato depenalizzato il reato di finanziamento illecito ai partiti (una legge disapplicata per vent’anni che servì a decapitare la Prima repubblica). L’abuso d’ufficio venne ridimensionato da un governo di centro-sinistra a vantaggio dell’allora capo del governo.
Il lungo cammino della riforma - Il cammino della depenalizzazione del falso in bilancio all’italiana ha avuto inizio sotto il governo di centro-sinistra, continuato da quello di Berlusconi e terminato nel 2015. La giurisprudenza creativa più spinta si è riproposta con la 231 del 2001, che ha consentito sequestri per equivalente basati sull’incredibile “indirizzo”. Che equipara una società di servizi che ha commesso un abuso ad una raffineria di droga.
Durante la prima repubblica la classe politica riusciva a contrastare la giurisprudenza creativa attraverso leggi di interpretazione autentica ad effetto retroattivo. Con l’avvento di Berlusconi i partiti non sono più riusciti ad impedire gli abusi giurisprudenziali con leggi ad hoc, considerate ad personam dai partiti e movimenti giustizialisti.
Non possiamo quindi considerare risolto il problema “giustizia” solo perché è stata reintrodotta una forma annacquata di prescrizione. Bisognerà aspettare che i gangli più delicati del sistema (anzitutto le procure e i GIP) siano occupati da nuove leve di magistrati. Sempre più giudici-tecnici, lontani dalla preparazione di tipo ideologico che li ha in gran parte guidati fino ai nostri giorni.