di Franco Esposito
Quarantuno anni ieri. L'anniversario della strage alla stazione di Bologna si accompagna questa volta a una prospettiva di chiarezza. “Siamo vicini alla verità sui mandanti”, assicura Giuliano Turone, 80 anni, ex magistrato. Lo scopritore degli elenchi della P2 che indicano in Licio Gelli il vero ideatore e finanziatore della strage di Bologna. Il mandante, tout court.
Giuliano Turone è proprietario di una convinzione assoluta. L'ha maturata appunto in fondo a quarantuno anni di depistaggi. “Quello che si è aperto nei mesi scorsi è uno dei processi più importanti mai tenuti in Italia”. L'ex magistrato l'ha detta papale papale a La Repubblica, arcisicuro di rappresentare una verità ormai non più confutabile. Proprio per il reato di depistaggio vennero condannati in passato il generale Pietro Musumeci e l'agente segreto Giuseppe Belmonte. “Stavolta – conferma Turone – siamo davanti a un salto di qualità. Il dibattimento potrà fare finalmente luce sui mandanti e i finanziatori. Un fatto nuovo”.
E una novità forte, importante, decisiva. Licio Gelli finanziatore della strage che causò morte e distruzione alla stazione centrale di Bologna. Un mistero a lungo irrisolto, ora vicino ad essere svelato in maniera decisiva, totale. Nella ricostruzione dei fatti non bisogna pensare a un interesse strettamente personale di Gelli. Sarebbe un punto di partenza sbagliato. Bisogna invece ripensare al ruolo del capo della P2, come parte di un sistema di potere occulto che attraverso la P2 perseguiva un progetto più ampio. “La bomba di Bologna è stato uno dei cardini, ma non l'unico”.
L'ex magistrato Turone consiglia di non dimenticare “Il Piano di rinascita democratica” scritto all'inizio del 1976. Il testo che ha funzionato come costituente materiale di un colpo di Stato strisciante. “I colpi di Stato tradizionali da noi non sono mai riusciti perché siamo un Paese troppo ricco di contraddizioni. Basti considerare la Dc, nella quale coabitavano Giulio Andreotti e Tina Anselmi. La guerra civile veniva portata avanti dagli ambienti che intendevano ostacolare qualsiasi alternativa di potere”. Il cosiddetto fattore K.
La strage fu compiuta dal Nar, finanziato appunto da Gelli. La prova esisterebbe in un appunto sequestrato al Venerabile nel settembre del 1982. Trovato addosso a Gelli dalle autorità svizzere, dopo il suo arresto a Ginevra. Soltanto nel 1986 è arrivato ai magistrati di Milano, che indagavano sulla bancarotta del Banco Ambrosiano. Alla Guardia di Finanza fu chiesta una relazione, completata solo l'anno successivo. In evidenza la scritta “Bologna” e accanto un numero di conto corrente 526779-X.S.
“Conteneva nomi e fatti – chiarisce Giuliano Turone – di una fitta serie di transazioni. I finanzieri sottolinearono che allo stato non era ben chiaro il significato della parola Bologna”. Stava a significare che la cosa necessitava di un approfondimento. Ma ancora non dava spazio all'ipotesi di un collegamento con la strage. Laddove, in realtà, l'ipotesi poteva risultare plausibile, essendo Gelli già impegnato al processo in corso a Bologna.
I giudici istruttori del Banco Ambrosiano interrogarono Gelli nel 1988, ma dimenticarono (o si trattò di omissione vera e propria?) di chiedergli chiarimenti sul fatto che il documento aveva come titolo Bologna. “Una mancanza singolare”, secondo l'ex magistrato impegnato nel sano tentativo di togliere ogni velo a uno degli episodi più vigliacchi della storia d'Italia. Una strage infame, quella di Bologna. Giuliano Turone è comunque un martello. “L'avvocato di Gelli si rivolse al Governo lanciando una minaccia”. Quale, di grazia? A che cosa si appiglio il difensore del Venerabile aretino? “Disse che il suo cliente Licio Gelli avrebbe mostrato gli artigli se gli fossero state fatte domande sull'appunto di Bologna. Evidentemente l'avvocato aveva delle entrature tali negli ambienti di Governo che gli consentivano di permettersi una grave iniziativa di questo tipo”.
Ma come arrivarono a Gelli i soldi per finanziare la strage, provenienti dal Banco Ambrosiano? Un meccanismo non semplice, una procedura molto articolata, del tutto ambigua. Ovvero attraverso una serie di complesse operazioni affidate a un gruppo di losche figure legate anche ai servizi segreti controllati dalla P2. “Un ruolo centrale lo ebbe l'imprenditore Marco Ceruti, ritenuto da tutti il cassiere di Gelli. Orai è al sicuro, esule negli Stati Uniti, in Florida”.
La ricostruzione di Giuliano Turone rimette insieme gli step della vicenda. Gelli versò cinque milioni di dollari all'imprenditore Ceruti, iscritto alla P2. Il particolare prova il ruolo che ebbe la loggia. “Anche se fino ad ora questo punto non era stato mai scoperto. E quindi mai preso in considerazione”. Mentre va considerato e pesato il contesto storico nel quale operava la P2. L'alternativa di potere era chiaramente invisa a un certo tipo di atlantismo. Quello esasperato. L'ex magistrato chiude e mette il punto. I fatti furono questi, andò così nel periodo precedente alla strage alla stazione di Bologna. “Aldo Moro venne minacciato da Kissinger, guai a te se porti avanti il progetto del compromesso storico. E in Bulgaria, a Sofia, nel 1973, Enrico Berlinguer fu vittima di un attentato”. Fatto passare, camuffato per un semplice, normale, casuale incidente stradale.
Fuori i veri mandati, via le maschere. La strage di Bologna attende verità e nomi da quarantuno anni.