di Giuseppe Scalera
Nello straordinario emporio delle sue carte parlanti, Enrico Caruso ha riproposto il dettato della sua vita, a cento anni dalla scomparsa. Un artista diventato canzone, teatro, film, icona, elegia e, infine, leggenda. Cento vite in una. Questa rimane la chiave per leggerlo senza poterlo completamente tradurre. C'è, tra le tante, una foto ingiallita dal tempo che vale più di una semplice emozione. È datata Napoli, 20 giugno 1921. Dal ponte della President Wilson, la nave a vapore che lo riporta in Italia, accanto alla moglie Dorothy Park Benjamin e alla piccola figlia Gloria, alza il suo Panama per salutare la folla di fans e giornalisti accalcatasi al Porto.
Dietro di sé ha lasciato in America l'immenso patrimonio di 50 milioni di dollari. Negli occhi, la tristezza e la malinconia di quel ritorno, probabilmente l' incertezza per quello che lo attende. Non si fermarono a Napoli. Insieme al segretario Bruno Zirato procedettero direttamente per Sorrento. Caruso era già stato operato in America. Gli specialisti avevano sperato di salvare la sua voce divina, almeno per qualche anno. Il tenore, in effetti, pensava più alla sua voce che alla sua vita, un destino comune ai grandi artisti della lirica e della drammaturgia. La regola squilibrata dell'arte. In Penisola vi furono altri consulti.
Sicura anche la presenza di Giuseppe Moscati, il medico santo. La situazione sembrava migliorare. Caruso, tra l'altro, si recò in visita alla Madonna di Pompei. Si iniziò a ipotizzare un ritorno in grande stile, un Otello con Titta Ruffo. Ma, a metà luglio, riapparve la febbre e le tensioni aumentarono. Il calvario di medici e consulti andò avanti per giorni. Finché si decise di riportarlo da Sorrento a Napoli, dove al Grand Hotel Vesuvio si spense, appunto il 2 agosto del 1921. La morte di Caruso fu la vicenda universale di quei giorni. Occupò e commosse l'opinione pubblica e i giornali dei due continenti.
Sovrani e principi si associarono al cordoglio di tutto il mondo. A New York, centinaia di migliaia di persone assistettero all'abbrunamento del Metropolitan che sospese gli spettacoli per tre giorni. A Napoli, le esequie si tennero nella chiesa di San Francesco di Paola a Piazza Municipio, la chiesa dei re. Fu montato un enorme catafalco, attorniato da centinaia di corone di fiori provenienti da tutto il mondo. La risposta di Napoli fu totale, assoluta. La limpida sonorità, l'ineffabile dolcezza, la tenerezza suprema della sua voce erano ancora nel ricordo di tutti. Perché il suo repertorio, tipicamente italiano, non era legato solo ad un estro magistrale ma all'orgoglio di un popolo, alla totale libertà della sua creazione vocale, a quello che oggi definiremmo il talento indisciplinato dei geni.