Di ANDREA CANTADORI
Il caposaldo della democrazia è sempre lo stesso: l’elettorato con il proprio voto si esprime a favore di un programma politico, cioè decide a maggioranza le cose che si devono fare. Poi, però, ha anche il diritto di vedere che le stesse cose siano effettivamente fatte. Altrimenti subentrano la disillusione, il qualunquismo e la disaffezione ai meccanismi della democrazia. Quando si verifica questo scollamento fra eletti ed elettori l’antipolitica prende il sopravvento e si acclama l’uomo forte, colui che è in grado di decidere e portare a termine i programmi. È importante, quindi, che ai proclami seguano quanto più possibile i fatti. La politica ha enormi responsabilità quando questo non accade, ma è veramente tutta colpa sua? Evidentemente no. A volte è la stessa politica che subisce un sentimento di frustrazione nel vedere arenarsi i progetti più significativi. E non ci si riferisce solamente agli impedimenti che la magistratura può mettere in atto. Un ricorso al Tar, al Consiglio di Stato o alla Corte costituzionale è sempre dietro l’angolo e può bloccare un’opera pubblica di interesse nazionale per anni, oppure può vanificare gli effetti di una riforma. Ci si riferisce, invece, agli effetti dilatori di una burocrazia che spesso non è neutrale rispetto alle scelte della politica ed entra in campo come attore protagonista. Gli apparati ministeriali, o anche più semplicemente di un qualsiasi Comune d’Italia, possono con la loro inerzia vanificare qualsiasi buon proposito. E poi ci sono le Autorità indipendenti, istituite per accelerare la risoluzione dei problemi sono diventate esse stesse punti di snodo del processo decisionale con potere di veto. I Paesi anglosassoni, dotati di pragmatismo, hanno adottato lo spoils system, sistema in base al quale i dirigenti delle pubbliche amministrazioni cambiano con il cambiare del Governo. In Italia prevale, invece, l’idea della Pubblica amministrazione quale elemento di continuità e, almeno formalmente, anche di imparzialità. In pratica, chi conosce la Pubblica amministrazione conosce bene quanto siano potenti le cordate al suo interno, che condizionano nomine, promozioni, movimenti e, in ultima analisi, anche la concreta realizzazione delle decisioni politiche. Per preservare la Pubblica amministrazione dal giogo della politica si è lasciato che questa diventasse possibile terreno di conquista per alleanze e gruppi che prosperano al suo interno. Esistono aree della Pubblica amministrazione in cui questo non avviene? Le rivelazioni dell’ormai ex magistrato Luca Palamara potrebbero offrire l’occasione per rigenerare l’intero sistema giudiziario ed è quanto auspicano numerosi magistrati. Forse il discorso andrebbe esteso anche oltre.