di Lorenzo Santucci
Il video delle armi abbandonate all'aeroporto di Kabul durante la fuga delle truppe americane è una delle immagini più significative della riconquista talebana. I fondamentalisti sono riusciti a prender possesso anche di quattro degli Uh-60 Blackhawk americani e Mi.17 sovietici, sequestrati in quello che, dalle immagini trasmesse da Mashal News, sembrerebbe essere un magazzino in un aeroporto. Altri canali social controllati dalle milizie talebane mostrano scene simili. Elmetti, fucili, giubbotti anti proiettili. L'arsenale bellico e le strutture lasciate incustodite hanno subito trovato nuovi padroni, gli stessi che sono tornati al potere e che stanno gettando l'Afghanistan in una delle più drammatiche crisi umanitarie. Non solo armi da fuoco e munizioni quindi, ma anche artiglieria pesante e veicoli corazzati, tra cui centinaia di Humvees, del valore di milioni di dollari. Strumenti che Washington ha fornito alle forze afghane per riarmarle, istruirle e renderle autonome - ma soprattutto per fronteggiare i fondamentalisti - e che adesso decretano il fallimento della sua missione. Come confermato da un funzionario del Dipartimento della Difesa, le attrezzature di cui si sono impossessati i talebani sarebbero un numero enorme.
E così, decine di carri armati T-55 e T-60, mezzi corazzati come MSFV e MaxxPro, elicotteri, attrezzature per le operazioni notturne, Uav (velivoli senza equipaggio), lanciarazzi multipli Grad, obici D-30 da 122 mm, M114A1 da 155 mm, centinaia di mortai nonché diversi M4 e fucili M16 potrebbero in questo momento essere in possesso dell'Emirato islamico. Gli M16 sono stati introdotti dall'esercito americano sostituendoli agli AK-47 sovietici: una scelta non del tutto premiata, perché più precisi ma più scomodi da portare in battaglia rispetto a quelli forniti da Mosca. Tutti materiali altamente sofisticati che gli insorti potrebbero non riuscire a utilizzare nella giusta maniera (così come non era facile per l'esercito nazionale considerato il know-how delle truppe). Ma oltre al vantaggio militare, i mezzi rubati possono garantire ai talebani una fonte di guadagno fondamentale grazie alla vendita ai Paesi circostanti, dall'Asia al Medio Oriente. Operazioni che possono rappresentare pericolose scintille in aree già altamente infiammabili, senza dimenticare il crescente rischio di attentati terroristici.
Questo è uno dei tanti risvolti negativi della missione statunitense in Afghanistan. Non sono bastati vent'anni e oltre 83 miliardi di dollari - una cifra che sfiora il doppio di quella messa a disposizione dal governo federale per il corpo dei Marines lo scorso anno - per rendere l'esercito e la polizia afghana capaci di camminare sulle proprie gambe. Al contrario, l'avanzata fulminea dei talebani è stata facilitata dalla ritirata eseguita dal presidente Joe Biden, quanto dalla resa delle truppe afghane. Resa che si è concretizzata in queste ultime ore di capitolazione, ma le cui cause vanno ritrovate nel corso degli ultimi vent'anni.
Il grande flusso di denaro e armi che è confluito in Afghanistan durante tale periodo, di fatto, non ha mai emancipato sul serio le milizie locali. Non a caso, queste hanno visto nella possibilità di combattere più una fonte di guadagno che di interesse per il proprio futuro. "Il denaro non può comprare la volontà. Non puoi acquistare la leadership", ha detto il portavoce del segretario della Difesa degli Stati Uniti, Kohn Kirby. Tutto l'opposto di quanto dimostrato dai talebani che, seppur numericamente inferiori (se ne contano 75mila, contro i 300mila dell'esercito afghano), hanno dimostrato un'organizzazione di gran lunga più efficace.
La dipendenza delle truppe afghane, infatti, non è stato sinonimo fedeltà. L'esser costantemente organizzati e mossi dall'Alleanza atlantica ha in qualche modo demolito il sentimento e l'orgoglio dei soldati, spaesati e rassegnati dopo l'ufficialità del ritiro delle truppe Usa iniziato da Donald Trump e accelerato da Biden. Molti di loro che non sono scappati ma, rimasti senza soldi né cibo, si sono arresi di fronte l'avanzata dei talebani. Gli insorti hanno giocato inoltre sul fattore corruzione, un germe diffuso anche al vertice dell'esercito e su cui gli alleati occidentali non sono riusciti a offrire alcun apporto significativo per contenerlo.
Il carburante e pezzi di ricambio forniti da Washington, per esempio, sono stati rivenduti al prezzo maggiore, a volte anche ai talebani. Gli stessi che da diversi mesi hanno continuato a stringere accordi con i funzionari governativi dei villaggi rurali con cui offrivano denaro in cambio di armi. Dinamiche che "hanno motivato i funzionari statunitensi a fornire la maggior parte dell'assistenza al di fuori dei canali del governo afghano", scrive nel suo rapporto il SIGAR (Special Inspector General for Afghanistan Reconstruction), che dal 2008 fa le pulci al governo di Washington per la gestione dei fondi destinati alla ricostruzione del Paese.
L'incompetenza e i limiti delle truppe dell'esercito afghano non possono però giustificare la sottostima da parte di Usa e Nato della situazione politica e militare. L'avanzata dei talebani è aumentata dopo l'accordo di Doha, sottoscritto tra l'Emirato Islamico e l'allora presidente Donald Trump nel 2020, in seguito a cui gli attacchi aerei statunitensi sono diminuiti. Ai talebani è stata così concessa "una tregua di un anno", ha sottolineato Andrew Watkins, senior analyst dell'International Crisis Group. In questo modo hanno potuto "riorganizzarsi, pianificare, rafforzare le loro linee di rifornimento e avere libertà di movimento". Adesso hanno ribaltato l'esito della guerra e hanno un arsenale da lucidare, anche grazie alle armi di chi li ha contrastati per vent'anni.