Ci si può sedere al tavolo e parlare con i talebani che in quanto a democrazia ne sanno quanto un bimbo in fasce sull’ingegneria elettronica? Nei giorni scorsi il leader del M5S Giuseppe Conte e l’ex deputato grillino Alessandro di Battista hanno aperto all’ipotesi. L’ex premier, proprio per questa presa di posizione, ha ricevuto parecchie critiche. Dalla Lega (“Dobbiamo dialogare con dei tagliagole?”) a Italia viva (“Menomale che a Palazzo Chigi c'è Draghi e non Conte”) passando per le osservazioni più pacate ma sempre critiche di Forza Italia e Pd.
Parole inoltre che hanno fatto innervosire anche Mario Draghi che ha chiesto a Luigi Di Maio, in qualche modo, di dissociarsi. Di certo l’uscita di Di Battista è destinata a spaccare ancora di più l’unità (oramai molto residua) della galassia pentastellata. Basti pensare difatti che Di Maio, come già detto sotto pressione da parte del presidente del Consiglio, aveva detto che “bisogna giudicare i talebani dalle loro azioni, tenendo una posizione ferma sul rispetto dei diritti umani”, andando dunque contro Conte a sua volta difeso dal capogruppo del MoVimento al Senato Ettore Licheri: “Doveroso il dialogo se salva una vita”.
Chiaro è che il messaggio lanciato da Di Battista ha due destinatari ben precisi: Draghi e Di Maio. Da segnalare che ieri anche Romano Prodi, intervenendo sul quotidiano ‘Il messaggero’, ha detto la sua spiegando che per lui il dialogo con i talebani è una strada obbligata perché la Russia e la Cina hanno infatti al loro interno minoranze facilmente sensibili all'estremismo islamico, mentre il Pakistan e la Turchia temono che un nuovo flusso di profughi si aggiunga a quello che è già arrivato in passato”.