di Orazio Abbamonte
Il serio aggravarsi della situazione dei contagi ed i quotidiani conflitti che il regime del cosiddetto green pass alimenta ininterrottamente, dovrebbero indurre ad un atteggiamento più serio e responsabile le forze politiche italiane e soprattutto il Governo che, al momento, ha nelle sue mani il vero potere di decidere. Non c'è dubbio, infatti, che il quadro pandemico tutt'altro che sotto controllo e prossimo, con ogni probabilità, a portarci dinanzi ad una quarta ondata di contagi, è di quelli che imporrebbe una precisa risposta, ferma e senza esitazioni: quella di rendere obbligatorio il vaccino per legge.
Come già ho avuto modo di scrivere, l'articolo 32 della costituzione indica una strada univoca e chiara: solo la legge può imporre trattamenti sanitari obbligatori e può farlo quando ce ne sia la necessità nell'interesse generale: dinanzi ad una pandemia dagli effetti così gravi, sia per la salute umana, sia per quella delle economie mondiali, nessun dubbio v'è che le condizioni per l'approvazione di una legge che imponga l'obbligo generalizzato della vaccinazione sono tutte qui presenti.
Fatti salvi i soggetti che per condizioni personali non possono essere sottoposte al trattamento preventivo, dovrebbe essere il legislatore a stabilire la campagna di prevenzione e difficilmente sarebbe eccepibile sul piano della costituzionalità la norma che ciò imponesse. Ma non lo si fa. Non lo si fa e nemmeno può dirsi che un serio dibattito che affronti le ragioni favorevoli e contrarie sia stato effettivamente aperto. Si gira piuttosto intorno al tema, focalizzandosi l'attenzione dei più sull'opportunità delle norme che regolano il green pass, sulle discriminazioni che esso determina, sull'assimilabilità o meno della condizione dei cittadini privi del prezioso documento a quella che vissero gli ebrei durante la Shoah, sulla legittimità dei numerosi divieti (almeno sulla carta) che affliggono i non vaccinati, quando la legge non impone il trattamento sanitario.
Tutte questioni che – a parte la grottesca amenità dell'accostamento all'olocausto – potranno avere anche un loro fondamento ed interesse, ma che non colgono affatto la centralità del tema: che è nel venir meno dello Stato al suo compito di preservare la salute dei cittadini con l'unico mezzo di cui al momento (e prevedibilmente anche per il futuro) dispone: una generalizzata e capillare campagna di prevenzione. E però, questa campagna non s'impone per la via maestra, l'obbligatorietà per legge, ma la s'induce con misure indirette che dovrebbero spingere il cittadino ad accettarla 'di sua volontà'. L'unica, sottesa ragione di tale impostazione ipocrita – "io non ti obbligo, ma se tu non lo fai ti saranno precluse tante opportunità, lavoro compreso" – sembrerebbe essere, a quel che se ne è potuto capire, il callido obiettivo di non rendere imputabile allo Stato la scelta della profilassi di tal che, qualora dovesse rivelarsi pregiudizievole per la salute della persona, non sarebbe possibile agire in via risarcitoria.
Se questa fosse effettivamente la base d'un regime tanto contraddittorio ed illogico, sarebbe davvero una motivazione da squallido leguleio torcileggi, che peraltro non avrebbe nemmeno una base giuridica seria. Un tale regime non sarebbe infatti in grado di raggiungere il suo scopo: se il cittadino si sottopone oggi al trattamento vaccinale e dovessero malauguratamente venirgliene danni alla salute, ben potrebbe dolersene con lo Stato. Se davvero una responsabilità ci fosse (e sono portato ad escluderlo), il velo d'ipocrisia disteso su questa disciplina che – sotto un'apparente libertà individuale – impone il trattamento pena una serie di gravi conseguenze negative che giungono sino alla perdita del posto di lavoro, è talmente diafano che sarebbe facile d'imputare la 'scelta' alla 'violenza morale' subita in ragione delle preclusioni che sarebbero venute dal rifiuto di sottoporsi alla somministrazione: e dunque in ultima analisi proprio allo Stato che quelle preclusioni ha stabilito.
Senza contare che v'è anche un'altra faccia della medaglia, sino ad ora non troppo seriamente valutata: quella di una class action che potrebbe essere intentata da cittadini contaminati (o da loro eredi), che ben potrebbero pensare di rivalersi nei confronti di uno Stato, venuto meno al dovere d'imporre un'obbligatoria campagna vaccinale. Insomma, a me pare abbastanza chiaro che questa posizione intermedia e compromissoria assunta dallo Stato nei confronti di una situazione di tanta gravità, possa produrre problemi più seri di una legge chiara e semplice che ordinasse puramente e semplicemente la vaccinazione.
Le posizioni di mediazione ad oltranza, gli atteggiamenti incerti e furbeschi, il continuo decidere e non decidere – tutte situazioni tipiche di uno Stato insufficiente, debole e spesso anche incompetente – non fanno che aggravare i problemi perché non definiscono le posizioni in modo coerente con le condizioni nelle quali è necessario provvedere e dunque non indirizzano, per quanto umanamente possibile, in modo razionale e conseguente. In luogo di semplificare, aggiungono problemi a problemi e predispongono il terreno per nuove difficoltà, magari soltanto rinviando ad un futuro più o meno vicino il presentarsi dei problemi, ovviamente ingigantiti e resi più intricati proprio dal trascorrere del tempo e dal complicarsi delle cose. Ma, se mal non vedo, è un atteggiamento nel Belpaese ben conosciuto e che va assai oltre la specifica e pur nient'affatto trascurabile vicenda pandemica.