Mancano pochi giorni all'11 settembre, ventesimo anniversario dell'attacco alle Torri Gemelle, data scelta da Joe Biden per porre il sigillo alla fine della guerra in Afghanistan. Ma il presidente non atterrerà a Kabul vestito da pilota con alle spalle la scritta "mission accomplished".
Quella partenza che voleva celebrare come una vittoria, realizzando quello che tre presidenti prima di lui hanno promesso di fare e non hanno mai fatto (o voluto fare), si è rivelata una frettolosa ritirata, una terribile sconfitta.
Gli elettori statunitensi restano tendenzialmente apatici rispetto alle questioni internazionali, ma le scene drammatiche di questi giorni all'aeroporto di Kabul, simbolo della tragedia che si sta consumando, il caos delle evacuazioni, migliaia di statunitensi "ostaggio" dei Talebani, tornati al potere dopo 20 anni guerra, la più lunga d'America, dove più di duemila militari americani sono morti e oltre duemila miliardi di dollari sono stati spesi, hanno risucchiato Biden in un buco nero politico.
Ogni volta che parla alla nazione, la sua posizione peggiora. Promette di "riportare tutti gli americani a casa", ma ammette di non sapere quanti sono, nega che gli Stati Uniti abbiano perso credibilità, ma non si sbilancia sulla conclusione della missione. Piovono critiche da destra e sinistra e i veterani tornano in cima all'agenda politica, la prova che l'Afghanistan ormai è diventato un affare interno.
I candidati nei distretti con un'alta percentuale di militari stanno già ricalibrando i loro messaggi. "Questi eroi avranno una casa in Virginia, grazie a tutti voi che state lavorando per evacuare in sicurezza i nostri alleati", twitta il democratico Terry McAuliffe, in corsa per l'elezione a governatore nel 2022.
Fa lo stesso il rivale repubblicano Glenn Youngkin: "Come vostro governatore sarete sempre in cima ai miei pensieri". Nello Stato (in bilico) della Virginia (vinto da Biden alle presidenziali del 2020) il 10% degli abitanti ha servito nelle forze armate (dati dell'Ufficio statistico nazionale), i loro voti sono necessari per vincere (o perdere).
Biden ha giocato la sua campagna presidenziale sull'empatia e l'esperienza, sulla capacità di comprendere i problemi della classe media, dei lavoratori, distanti dall'ostentato glamour trumpiano. Ma è proprio di mancanza di empatia (e competenza) che Biden sta peccando sull'Afghanistan nella percezione dell'opinione pubblica.
La popolazione afghana lasciata nelle mani dei Talebani e i veterani statunitensi che pensano di essersi sacrificati per niente. "Non posso garantire l'esito di questa missione", dichiara candidamente il comandante in capo, segnalando una situazione fuori controllo. "La conferenza stampa di Biden è stata preoccupante. Ha mostrato come non sappia quello che fa. Ha detto che non ci sono state critiche da parte degli alleati. Ci sono state molte critiche, soprattutto nel Regno Unito. Ha detto che gli americani non stanno avendo difficoltà a raggiungere l'aeroporto", commenta l'ex portavoce della Casa Bianca Ari Fleisher su Twitter, sottolineando come le affermazioni del presidente stridano con la realtà.
Mostrare di aver perso il controllo della situazione per un inquilino della Casa Bianca è politicamente fatale. La crisi degli ostaggi in Iran nel 1979 costò la presidenza a Jimmy Carter. La gestione dell'uragano Katrina nel 2005 resta una macchia nella presidenza di George W. Bush. Kabul come Saigon? Forse peggio. Si spera che il tempo cancelli ricordo di questa ritirata, ma potrebbe non bastare. Perché il vero test per Biden sarà quello della gestione del dopo Afghanistan, l'amministrazione dovrà prevenire gli attacchi terroristici contro gli americani. Un passo falso e avrà la strada segnata.