Gente d'Italia

Nuova vita per l’isola-carcere di Santo Stefano

DI MARCO FERRARI

Un'isola nell'isola: per chi conosce Ventotene, nell'arcipelago ponziano, sa bene che accanto, a soli due chilometri, c'è un altro scoglio, Santo Stefano, 500 metri di diametro, 27 ettari di estensione, origine vulcanica, forma circolare, con un carcere anch'esso circolare fatto costruire da Ferdinando IV° Borbone alla fine del Settecento. Con decreto del Presidente della Repubblica 28 gennaio 2020, Silvia Costa è stata nominata commissario straordinario del governo con il compito di "assicurare il necessario coordinamento, anche operativo, tra le amministrazioni statali istituzionalmente coinvolte e dare un significativo impulso agli interventi di restauro e valorizzazione dell'ex carcere borbonico dell'isola di Santo Stefano – Ventotene".

La Costa ha annunciato la pubblicazione del Concorso internazionale di progettazione per l'ex carcere borbonico nell'isola di Santo Stefano di Ventotene, alla presenza della Giunta e del Consiglio comunale di Ventotene. "Ringrazio Invitalia e la mia struttura - ha detto Silvia Costa - per il grande impegno che ha consentito di rispettare l'ambizioso cronoprogramma che ci siamo dati, pubblicando, a un solo anno di distanza dall'avvio del Piano Operativo, questo importante bando. Il lancio di questo concorso internazionale costituisce la fase più importante del processo di rigenerazione del sito dopo i lavori in somma urgenza già realizzati e l'imminente aggiudicazione della gara di appalto per l'intervento di messa in sicurezza e parziale restauro conservativo del Panottico. L'ammontare degli interventi da progettare è pari a 31 milioni di euro, mentre le risorse stanziate per la progettazione e la direzione dei lavori sono oltre 3 milioni di euro".

La procedura è articolata in unico grado, aperta ed in forma anonima per quanto attiene alla valutazione delle proposte progettuali. La proposta progettuale dei concorrenti dovrà essere al livello di un progetto di fattibilità tecnica ed economica. Il brullo isolotto di Santo Stefano e la vicina isola di Ventotene sono state storicamente considerate isole di esilio coatto, già a partire dagli antichi romani e in seguito dai Borbone, dai Savoia e, non poteva certamente essere da meno, dal regime fascista. Quel carcere è rimasto lì, come una inquietante presenza, da quando è stato abbandonato a metà degli anni Sessanta. Ora il progetto di trasformarlo in un grande spazio espositivo in mezzo al mare, tra memoria e futuro, una scuola di "alti pensieri", un luogo di produzione e attrazione culturale e turistica, un centro europeo di pratiche ambientali sostenibili. Un luogo che onori i valori dell'Europa e del Mediterraneo senza snaturare il patrimonio del penitenziario borbonico di Santo Stefano e della sua storia.

Con lo stanziamento di 70 milioni di euro e un programma lungo e complesso che dal 2020 arriva fino al 2025, il progetto rappresenta un'opportunità di sviluppo sostenibile e integrato, che inciderà sulla vita delle due piccole isole del Tirreno, preziose riserve naturali tra Lazio e Campania: se Ventotene sarà principalmente un posto destinato all'accoglienza e punto di partenza e raccolta informazioni per la più piccola Santo Stefano, quest'ultima isola, ora in stato di degrado, subirà una radicale trasformazione. Un cambiamento che inizierà proprio dalla messa in sicurezza e riqualificazione del suo luogo simbolo, l'ex carcere, una costruzione potente e fragile al tempo stesso, che diventerà un museo destinato alla "next generation di europei".

Queste sono state, a loro modo, "isole infelici" rispetto alle poco distanti isole di Capri e Ischia, considerate "isole felici". Fu Giulia maggiore, figlia di Augusto, assieme alla madre Scribonia, ad avviare la triste esperienza dell'esilio nel I° secolo avanti Cristo, per ordine dello stesso padre, seguita da Agrippina maggiore per ordine di Tiberio, Ottavia, figlia di Claudio e moglie di Nerone e Flavia Domitilla, nipote di Domiziano. Re Ferdinando IV° di Borbone decise poi di utilizzare lo scoglio di Santo Stefano per edificarvi una possente struttura da adibire a "Bagno penale" per criminali della peggiore specie, ma in modo più realistico, per deportarvi rivoluzionari, dissidenti politici e facinorosi non graditi alla corte. A progettare l'originale struttura e a seguirne di persona i lavori di costruzione (1792 - 1797) fu l'ingegnere napoletano Francesco Carpi, che ideò, secondo i dettami dell'epoca un "Ergastolo", come da lui definito, a pianta a esedra, che, anche se rientrante tra quelli a struttura "Panottica", si rifaceva sorprendentemente al Teatro San Carlo di Napoli degli architetti Medrano e Carasale, costruito nel 1737. Non a caso la guardia sta al posto dell'attore, sulla torretta di controllo, che figura essere una sorta di palcoscenico e i detenuti nelle celle stanno al posto degli spettatori nei palchi ordinati a semicerchio, intorno alla cappella centrale della grande arena scoperta.

Come ebbe modo di annotare Luigi Settembrini, "Immagina di vedere un vastissimo teatro scoperto dipinto di giallo, con tre ordini di palchi formati da archi, che sono i tre piani delle celle dei condannati". Con Settembrini (padre e figlio) soggiornarono qui Giuseppe Poerio, Silvio Spaventa, assieme a Fra Diavolo, a omicidi, grassatori e qualche decennio dopo il brigante Carmine Donatello Crocco. A metà del 1700 il Marchese Bernardo Tanucci della corte borbonica napoletana volle sfidare questa atavica maledizione e pensò di utilizzarle, insieme alle Tremiti, per un esperimento caro a Jean Jacques Rousseau, che sosteneva come il contatto con la natura incontaminata e la lontananza dalle quotidiane tentazioni delle aree urbane, fosse capace di facilitare la redenzione e il recupero alla società di criminali, prostitute, nullafacenti, accattoni e diseredati. L'esperimento fallì e i terreni iniziati a coltivare furono suddivisi tra contadini e pescatori del litorale napoletano, inviati qualche anno dopo.

Anche i Savoia si servirono di questo scoglio per incarcerare Pietro Acciarito e Gaetano Bresci, attentatori di Umberto I re d'Italia, e tanti altri anarchici, tra cui Romolo Tranquilli, fratello di Ignazio Silone e Rocco Pugliese che fecero compagnia al feroce bandito Giuseppe Musolino. Dal ventennio fascista in poi a Santo Stefano furono imprigionati tante personalità: il futuro Presidente della Repubblica Sandro Pertini, il futuro Presidente dell'Assemblea Costituente Umberto Terracini, il futuro senatore del Partito Comunista Italiano Mauro Scoccimarro, Pietro Secchia e i ribelli Sante Pollastri, Ezio Barbieri e Benito Lucidi, l'unico a riuscire ad evadere, nel 1960. Altri antifascisti erano confinati sull'isola di Ventotene, ma non furono mai carcerati a Santo Stefano: Giuseppe Di Vittorio, Giorgio Amendola, Lelio Basso, Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi. Proprio a questi ultimi due si deve la redazione del cosiddetto "Manifesto di Ventotene" che nel 1941, in pieno conflitto mondiale, chiedeva l'unione dei paesi europei e costituirà, negli anni successivi, il riferimento ideale cui guarderanno in molti per il processo di integrazione continentale.

A Santo Stefano, dunque, si trovarono a convivere politici e reietti della società, in una sorta di immobilità segnata dalle mura del carcere. Solo nel 1952 il nuovo direttore Eugenio Perucatti volle dare uno scossone alla esistenza carceraria: un lento passaggio da una pena con finalità retributivo-deterrente a una stagione di risocializzazione e di recupero del soggetto alla società civile. All'ozio giornaliero sostituì attività lavorative, scolastiche e religiose e aprì alle visite di mogli e figli. Un sogno che durò pochi anni sino al trasferimento del direttore. Poi l'Ergastolo fu chiuso nel febbraio 1965, con Decreto del Ministero di Grazia e Giustizia. Nel 1981, su iniziativa dell'allora ministro della Difesa Lelio Lagorio, sopra il portone di accesso alla fortezza è stata apposta una grande lapide in marmo candido del Monte Altissimo delle Alpi Apuane per ricordare i patrioti incarcerati.

Il "Manifesto di Ventotene" aveva come titolo originale "Per un'Europa libera e unita. Progetto d'un manifesto". Si tratta di un primo documento per la promozione dell'unità europea scritto da Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi nel 1941 durante il periodo di confino, pubblicato da Eugenio Colorni, che ne scrisse personalmente la prefazione. Oggi è considerato uno dei testi fondanti dell'Unione europea. Se il precedente "Pan-Europa", scritto dal conte Richard Kalergi nel 1922, auspicava un'unione europea a guida tecnocratica, il "Manifesto di Ventotene" prefigura un'ideologia europeista di istituire una federazione europea dotata di un parlamento e di un governo democratico con poteri reali in alcuni settori fondamentali, come economia e politica estera. 

"Il carcere è stato luogo di detenzione di detenuti comuni ma anche di prigionieri politici, dissidenti e padri della Costituzione – sostiene la Costa – e il recupero del carcere è legato proprio all'anniversario del Manifesto".  Un'operazione delicata poiché la piccola isola di Santo Stefano fa parte della Riserva naturale statale e dell'area marina protetta, è uno scoglio non abitato, senza approdi, acqua e luce, con numerosi vincoli paesaggistici, ambientali e idrogeologici. Il complesso carcerario borbonico, caratterizzato dalla peculiare forma di forma del Panopticon, inoltre, si presenta in avanzato stato di degrado, ed è già stato interessato da alcuni lavori "di somma urgenza" su alcune parti pericolanti della struttura. Prevista anche la riqualificazione ambientale degli spazi esterni e in particolare della piazza della Redenzione, nonché la realizzazione di un giardino mediterraneo emblematico, il restauro del giardino della casa del direttore e del cimitero, il restauro del paesaggio dell'area dell'ex campo di calcio, la riqualificazione dei percorsi di arrivo al complesso monumentale e al cimitero. Nelle fasi finali dell'operazione saranno coinvolti anche gli artisti che, nel 2022 e 2023, avranno possibilità di residenza e lavoro in questo angolo di Mediterraneo. 

Exit mobile version