Di Lorenzo Santucci

Con il ritorno dei talebani al potere riemerge la storica frattura tra i vari enti terroristici islamici. Dietro i tragici attentati all'aeroporto di Kabul, infatti, c'è la mano dell'Isis-K. Ne erano sicure fin da subito le intelligence statunitensi e britanniche e la conferma è arrivata dopo la rivendicazione dello stesso gruppo islamico. Il consigliere per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti, Jake Sullivan, lo ha definito una minaccia "acuta" e "persistente" per le operazioni di evacuazione che si stanno tenendo all'aeroporto Hamid Karzai. Truppe americane, talebani e afghani collaborazionisti con l'Occidente rappresentano, infatti, un'occasione di ribalta mediatica troppo ghiotta per lo Stato islamico del Khorasan, una delle tante realtà terroristiche che operano e devastano l'Afghanistan, oscurata negli ultimi anni dal ritorno dei mai tollerati talebani. Questi ultimi, insieme a Al-Qaeda, Isis e, appunto, Isis-K sono i gruppi più noti, accomunati dal rifiuto di tutto ciò che esca dai loro canoni (gli infedeli) ma fortemente divisi tra di loro.

Talebani

In pasthu, una delle lingue più parlate in Afghanistan e in Pakistan, significa letteralmente "studente" o "ricercatore". Nasce dalle scuole coraniche pakistane, le madrasse. Il termine è legato al regime dell'Emirato islamico che si è instaurato in Afghanistan tra il 1996 e il 2001, durante cui l'Onu ha denunciato quindici massacri di massa perpetuati contro la popolazione civile con l'aiuto di Al-Qaeda, storico alleato del regime. Il governo dei talebani non venne mai riconosciuto dalla comunità internazionale, con l'eccezione di Pakistan, Emirati Arabi Uniti e Arabia Saudita.

La storia del gruppo parte due anni prima, nel 1994, quando il mullah Mohammed Omar e Abdul Ghani Baradar, due ex mujaheddin, decisero di fondare nella città di Kandahar un movimento che riportasse stabilità e pace nel Paese dopo il ritiro truppe sovietiche nel rispetto più rigoroso della sharia, la legge islamica. Nel giro di quattro anni, i talebani controllavano circa il 90% dell'Afghanistan, compresa la capitale Kabul conquistata nel 1996. Chiunque fosse contro la legge islamica veniva pubblicamente giustiziato, mentre chi aveva collaborato con enti esterni – organizzazioni, Paesi o anche solo media internazionali - veniva etichettato come traditore. Per gli uomini era d'obbligo tenere la barba lunga, così come per le donne indossare il burqa. Per queste ultime era vietato anche andare a scuola dopo i dieci anni, avere rapporti con uomini al di fuori dal nucleo familiare, guidare qualsiasi mezzo e indossare gioielli. Agli afghani vennero proibiti il cinema, la musica e la televisione, in quanto non in linea con la l'interpretazione della legge islamica che vieta la raffigurazione degli idoli. Non a caso, molte opere dal valore storico e culturale immenso vennero distrutte, come le due statue millenarie raffiguranti il Buddah nella valle Bamiyan, nell'Afghanistan centrale.

Era il 2001, lo stesso anno in cui Osama bin Laden, a capo dell'organizzazione terroristica di Al-Qaeda, preparava l'attentato alle Torri Gemelle sotto la protezione degli stessi talebani. Nel momento in cui Washington lo ritenne responsabile del dirottamento dei due aerei e di fronte alla richiesta del presidente George W. Bush di consegnare tutti i militanti di Al-Qaeda, il mullah Omar si rifiutò. Emirati Arabi Uniti e Arabia Saudita decisero di non riconoscere più il governo dei talebani, appoggiati solamente dal Pakistan a cui si rivolsero per processare bin Laden in un tribunale internazionale che rispettasse però la legge della sharia. Una proposta che Islamabad sembrerebbe aver rifiutato. Neanche un mese dopo dall'attentato al World Trade Center, partì l'operazione della Nato guidata dagli Stati Uniti che, in seguito alla conferenza di Bonn in Germania, instaurò il nuovo governo di Hamid Karzai.

Alla conferenza non prese parte alcuna rappresentazione talebana, diversamente dagli accordi di Doha del 2020, per molti analisti uno spartiacque per le vicende che si susseguono in queste ore che li vedono di nuovo al potere vent'anni dopo l'ultima volta.

Al-Qaeda

La storia del gruppo terroristico fondato dal miliardario saudita Osama bin Laden è strettamente legata all'attentato dell'11 settembre, il più grave mai subito dagli Stati Uniti sul suo territorio. Tremila i morti, molti di più quelli che seguirono alla risposta occidentale. Le origini di Al-Qaeda (in arabo, "la base") vanno ritrovate, come per i talebani, nella resistenza all'invasione sovietica tra il 1979 e il 1989, periodo durante cui l'organizzazione fungeva da rete logistica per i combattenti islamici di tutto il mondo. Terminata l'occupazione, i militanti del gruppo si dispersero senza mai perdere di vista il fine della loro lotta: combattere contro i regimi islamici corrotti e scacciare la presenza dell'Occidente, in particolare gli Stati Uniti, dai loro territori.

Nata in Afghanistan, successivamente la sede dell'ente terroristico venne spostata in Sudan per poi tornare nel 1996 a Kabul, dove strinse rapporti sempre più stretti con i talebani, accomunati dalla guerra santa (jihad). Qui organizzò campi di addestramento e formò migliaia di miliziani che, dopo il duro colpo inferto all'organizzazione dall'intervento militare americano, agirono da cellule spaiate rendendo ancor più difficile la lotta al terrorismo. Sempre dall'Afghanistan, Al-Qaeda preparò una serie di attentati: quelli alle ambasciate americane in Kenya e in Tanzania nel 1998 e, due anni dopo, al cacciatorpediniere statunitense nel porto di Aden, nello Yemen. Quello di New York fu l'ultimo attacco coordinato dal confine afghano-pakistano, dove il gruppo si nascondeva. Dopo l'intervento dell'Alleanza Atlantica, molti leader si rifugiarono nei territori vicini, compreso Osama bin Laden, ucciso nel 2011 a circa 50 km da Islamabad dalle truppe statunitensi. Il suo posto venne ricoperto da Ayam al-Zawahiri, da sempre al fianco del leader saudita.

Ora, dopo la ribalta fulminea dei talebani, la preoccupazione che avvolge molti analisti è un rafforzamento di Al-Qaeda, già in festa per il ritorno dei loro storici alleati come testimoniano i dolci distribuiti alla popolazione dopo la presa di Kabul.

Isis

Chi si oppone ai talebani è invece l'Isis – Stato islamico dell'Iraq e della Siria, nato in seguito all'invasione americana dell'Iraq da un ramo di Al-Qaeda. "Apostati" e "traditori", addirittura "agenti degli americani": sono questi gli appellativi che il sedicente Stato islamico ha rivolto ai nuovi signori dell'Afghanistan. I due gruppi sono da anni allo scontro, perché se per entrambi il fine ultimo è quello del rispetto della legge islamica e la lotta agli infedeli, il carattere nazionalista dei talebani mal si pone con quello internazionalista dell'Isis. Quest'ultimo, infatti, si pone l'obiettivo di voler esportare la legge del Corano nel mondo, mentre per i talebani questa deve essere limitata ai confini afghani. Non è un caso che nel 2014 Daesh abbia deciso di cambiare nome in Stato del califfato islamico (Sic) per mostrarsi come autorità del mondo musulmano.

Isis-K

Come scritto, però, l'Isis più conosciuto è quello ramificato in Iraq e soprattutto in Siria, dove da ormai sette anni è in guerra contro il governo di Bashar al-Assad. Ma le arterie del gruppo fondamentalista si estendo in molti dei Paesi circostanti, a cui l'Afghanistan non fa eccezione. Qui si è radicato l'Isis-K, o Isis-KP, sigla che racchiude la provincia dello Stato islamico del Khorasan ("Le terre del sole"), un termine per indicare i territori di Tagikistan, Uzbekistan, Turkmenistan, Pakistan e, appunto, Afghanistan.

Si tratta di una costola di Al-Qaeda, fondata dai talebani pakistani delusi nel 2015 in un'area dimenticata dalle autorità – la stessa dove trovava rifugio Osama bin Laden. Il Center for Strategic and International Studies ha sottolineato in un suo rapporto che l'Isis-K "non tiene conto dei confini internazionali" e "immagina che il suo territorio trascenda Stati-nazione come l'Afghanistan e il Pakistan", a dimostrazione di come si attenga all'idea di base del Califfato. In circa tre anni, la loro azione terroristica fu molto attiva in Afghanistan (nel 2016 si contavano tra i tre e i quattro mila miliziani, il massimo mai raggiunto), fino a quando le sconfitte riportate in Siria e in Iraq dall'Isis non si ripercossero anche su quello afghano, circoscritto a una piccola area e con finanze limitate. Come nel caso di Al-Qaeda, però, l'azione dei singoli ha permesso al Califfato di non capitolare definitivamente.

La risalita dell'Isis del Khorasan è dovuta in parte al narcotraffico, in cui si inserì nel 2019 e che gli permise di riconquistare terreno. Nangarhar, Kunar, Nuristan e Badakhsan sono le province dove oggi è più presente e da cui lancia la sua sfida agli infedeli americani e i traditori afghani, inclusi quei talebani che secondo loro sarebbero troppo morbidi nella messa in pratica della sharia. Gli attentati all'aeroporto di Kabul ne sono l'esempio più tragico.