I vertici di Bruxelles sono stati travolti, come il resto del mondo, dalla nuova ascesa dei talebani in Afghanistan, con la caduta di Kabul e la fuga degli occidentali dopo una presenza durata 20 anni. L’epilogo della missione si è rivelato la prima battuta d’arresto per la presidenza Usa di Joe Biden, sommersa di critiche per la scelta di ritirarsi dal paese e abbandonarlo, di fatto, nelle mani dei Taliban. Il banco di prova si è allargato in fretta alla Ue, chiamata in causa per il ruolo di evacuazione e accoglienza delle migliaia di afghani che hanno tentato e stanno tuttora tentando di scappare dal Paese prima dello stop al ponte aereo del 31 agosto.
Vista da Bruxelles, la crisi afghana si traduce soprattutto in un rebus politico già sperimentato dai leader europei: il bilanciamento fra solidarietà e sicurezza nella gestione dei flussi in arrivo dal paese, un lavoro di sintesi che fa pensare soprattutto alla crisi europea dei migranti nel 2015. Con il rischio di nuovi scontri politici e, ovviamente, strumentalizzazioni fra le forze politiche più ostili all’accoglienza. Per il momento la Ue non è riuscita a parlare con una voce unica, facendo emergere tutte le differenze di approccio che si possono immaginare.
Un gruppo di 76 eurodeputati, con firmatari anche fra i gruppi di destra e centrodestra, ha invocato l'applicazione della direttiva per la protezione temporanea, un testo che consentirebbe l’accoglienza immediata di determinate categorie di rifugiati. Il primo ministro sloveno Janez Jansa, nella veste di numero uno di turno della Ue, ha chiuso - letteralmente - le porte a qualsiasi meccanismo di accoglienza, respingendo su Twitter lo scenario di corridoi umanitari ed evocando proprio la crisi del 2015.
La presidente della Commissione Ursula von der Leyen sta incalzando stati membri e Parlamento Ue per la ricerca di un’intesa sul nuovo Patto sulle migrazioni e l’asilo, una proposta dell’esecutivo ancora incagliata nei negoziati. Senza contare il dibattito che si sta già surriscaldando nel dibattito interno ai vari Paesi Ue, anche in vista di appuntamenti elettorali (come il voto in Germania). Una prima resa dei conti dovrebbe consumarsi il 31 agosto, in occasione del vertice fra i ministri dell’Interno Ue.
La presidenza slovena ha convocato un incontro, presieduto dal ministro Aleš Hojs, per «discutere una risposta uniforme» alla questione afghana. L’approccio sembra sbilanciato più sulla sicurezza, che sulla solidarietà, a giudicare dai toni del comunicato sloveno: «L’obiettivo è di sviluppare una serie di misure - si legge nel comunicato - che aiutino a prevenire una ripetizione dello scenario del 2015, quando gli stati membri hanno affrontato una enorme pressione migratoria».
La linea traspare anche dalla bozza, ottenuta dalla testata Politico Europe, del comunicato finale dei 27: il termine «sicurezza» appare cinque volte, tanto per mettere in chiaro le priorità di Bruxelles nella gestione dell’emergenza umanitaria. Ci sarebbero anche dei meccanismi di accoglienza, in teoria, ma sembra destinati ad aspettare o scomparire del tutto nel dibattito fra i 27. Non sarebbe la prima volta.