di Carlo Renda
Ritiro completato, "la guerra è finita". Venti anni dopo l'invasione dell'Afghanistan, conseguenza degli attacchi dell′11 settembre, gli Stati Uniti ritirano tutti i soldati dall'Afghanistan e consegnano il Paese nelle mani dei talebani. Sull'ultimo C-17, anche l'ambasciatore.
Associated Presse e France Presse danno notizia di spari uditi in tutta la città di Kabul per festeggiare la partenza degli ultimi voli Usa. "Abbiamo fatto la storia": è il commento di un comandante talebano, Anas Haqqani, "sono molto contento, dopo vent'anni di jihad, di sacrifici e difficoltà, di avere la soddisfazione di assistere a questi momenti storici". "Il nostro Paese ha conquistato la completa indipendenza" ha dichiarato il portavoce Zabihullah Mujahid.
Il generale Kenneth McKenzie in conferenza stampa al Pentagono parla con soddisfazione della "più grande evacuazione della storia dell'esercito americano". Non altrettanta soddisfazione può mostrare per una missione ventennale che "ha assicurato alla giustizia Osama Bin Laden insieme a molti co-cospiratori di Al-Qaida", ma è costata "2.461 militari e civili americani uccisi ed oltre 20 mila feriti, inclusi sfortunatamente i 13 marines uccisi la scorsa settimana da un attentatore suicida".
E ora, cosa accade?
Oltre 123mila persone sono state trasportate via aereo da Kabul dal 14 agosto. Ma tra personale delle ambasciate, interpreti, mediatori culturali, giornalisti, addetti a logistica, sarebbero almeno 200mila i cooperanti che gli Usa e gli altri Paesi della Nato non sono riusciti a evacuare dall'inferno di Kabul. E l'aeroporto, come la città di Kabul, è ora nelle mani dei talebani.
A New York intanto va in scena tutta la fragilità delle relazioni nella comunità internazionale. Al Consiglio di sicurezza dell'Onu passa una risoluzione in modo solo formalmente unanime - con 13 voti a favore e l'astensione di Russia e Cina - che richiede ai talebani il rispetto degli "impegni" presi su sicurezza e diritti anche dopo il 31 agosto.
"Talebani assicurino partenze sicure da Kabul dopo il 31 agosto". La risoluzione elaborata da Francia, Gran Bretagna e Usa chiede la "rapida e sicura riapertura dell'aeroporto di Kabul e dell'area circostante". Si prende atto della "pericolosa situazione della sicurezza intorno allo scalo Hamid Karzai e si esprime preoccupazione sulle notizie dell'intelligence secondo cui potrebbero avvenire altri attacchi terroristici nell'area". Si chiede poi "alle parti di lavorare con i partner internazionali per rafforzare la sicurezza e prevenire altre vittime, oltre che sia fatto ogni sforzo per permettere la rapida riapertura in sicurezza dell'aeroporto".
Inoltre, "ci si aspetta che i talebani aderiscano agli impegni presi anche per quanto riguarda la partenza sicura, protetta e ordinata dall'Afghanistan degli afgani e di tutti i cittadini stranieri". Si "esige che il territorio afghano non venga utilizzato per minacciare o attaccare alcun Paese, per ospitare o addestrare terroristi, per pianificare o finanziare atti terroristici". Si riafferma "l'importanza di sostenere i diritti umani, compresi quelli delle donne, dei bambini e delle minoranze". Si chiede infine di "rafforzare gli sforzi per fornire assistenza umanitaria all'Afghanistan e si domanda a tutte le parti di permettere un accesso pieno, sicuro e senza ostacoli alle Nazioni Unite, alle sue agenzie e ai suoi partner".
Salta il riferimento alla 'safe zone', la zona protetta per l'aeroporto di Kabul, proposta dalla Francia per facilitare, sotto la supervisione dell'Onu, l'ingresso di aiuti umanitari e l'uscita di personale ancora da evacuare. La proposta francese aveva trovato sponde nella Gran Bretagna e anche nella Russia, la quale però aveva chiesto anche altre due iniziative, che creano più di qualche tensione con Washington: sbloccare le risorse monetarie afghane e avviare una conferenza internazionale. "Se i nostri colleghi occidentali hanno davvero a cuore il futuro del popolo afghano, non dovrebbero creare ulteriori problemi a quella gente, come il congelamento delle riserve internazionali dello Stato afgano conservate nelle banche degli Stati Uniti", ha ammonito il rappresentante presidenziale russo per l'Afghanistan Zamir Kabulov. Per discutere "la ripresa economica dell'Afghanistan" il Cremlino chiede inoltre la convocazione di una "conferenza internazionale" che veda innanzitutto la partecipazione "dei Paesi i cui eserciti sono stati di stanza lì per 20 anni e hanno fatto quello che vediamo oggi. È un punto d'onore e di coscienza correggere almeno alcuni degli errori che hanno fatto".
Nel Palazzo di Vetro, se l'ambasciatrice Usa all'Onu, Linda Thomas-Greenfield, lancia un appello alla comunità internazionale, dicendo che è "un imperativo che rimanga unita e risoluta", la Cina attacca la posizione di Washington e degli alleati, accusandoli di aver "scaricato sul Consiglio di sicurezza e sui Paesi vicini" all'Afghanistan la responsabilità della situazione. Il rappresentante di Pechino al Consiglio di sicurezza ha motivato l'astensione, dicendo che "la situazione in Afghanistan è cambiata drammaticamente , qualsiasi misura del Consiglio di sicurezza deve puntare a ridurre e non aumentare il conflitto, in modo da garantire al Paese di uscire dall'emergenza. La Cina ha partecipato in forma costruttiva, ma i nostri emendamenti, presentati assieme alla Russia, non sono stati accolti, purtroppo. Per questo ci siamo astenuti dal votare la risoluzione".
Il rischio della safe zone viene spiegato anche dal ministro Luigi Di Maio: "Non possiamo dare le liste di quelli da evacuare ai talebani. Abbiamo visto il famoso comico ucciso dai talebani, abbiamo visto il musicista, abbiamo visto atti efferati e atroci. Ed è per questo che dobbiamo lavorare con Pakistan, Iran, Uzbekistan, Tagikistan, dove i profughi si stanno recando".
Nelle caotiche ultime ore del ritiro, razzi dell'Isis erano piovuti sull'aeroporto Karzai della capitale. I jihadisti dello Stato Islamico avevano rivendicato il lancio di "sei razzi Katyusha" che volevano provocare un'altra strage dopo l'attentato kamikaze che il 26 agosto ha ucciso oltre 170 persone di fronte ai cancelli dello scalo. Il Pentagono, nel confermare l'attacco, ha parlato di cinque razzi, di cui tre caduti fuori dall'aeroporto, uno neutralizzato dal sistema antimissili americano e un altro precipitato dentro il perimetro dello scalo, ma senza causare danni.
Intanto le testimonianze di vicini e parenti hanno svelato che il raid americano che domenica ha colpito un'auto di kamikaze pronti ad attaccare l'aeroporto ha lasciato dietro di sé una scia di sangue di 10 civili uccisi, tra cui sette bambini. Erano tutti membri della stessa famiglia, stavano uscendo da una vettura nel vialetto della loro casa quando il drone ha colpito il bersaglio, ha raccontato al Washington Post Abdul Matin Azizi, un vicino che ha assistito al raid. Tra le vittime anche un ufficiale dell'esercito afghano, per sei anni interprete per le forze straniere. Doveva sposarsi il 30 agosto, e tutti i membri della sua famiglia stavano aspettando di partire per gli Stati Uniti.
Le notizie della famiglia sterminata nel raid hanno scatenato l'indignazione dell'opinione pubblica, che va ad aggiungersi alla bufera che da settimane investe Washington per la gestione del ritiro delle truppe dall'Afghanistan. Una polemica alimentata in queste ore anche da una ricostruzione di Politico che, basandosi su tre conference call classificate, ha riferito che il 26 agosto il Pentagono era a conoscenza di un imminente "evento con vittime di massa" all'aeroporto di Kabul, tanto che i comandanti sul campo proposero un piano per chiudere anche l'Abbey Gate entro il pomeriggio, ma gli americani decisero di mantenere aperto l'ingresso per consentire ai britannici di continuare le evacuazioni. Un ritardo che ha aggravato le conseguenze tragiche dell'attacco suicida all'aeroporto.
Nonostante le critiche e la tensione alle stelle, il ritiro definitivo da Kabul è stato compiuto e il domani per l'Afghanistan è ancora un grande punto interrogativo.