Forse nessuno se lo sarebbe aspettato da una personalità come Mario Draghi, presidente del Consiglio. E cioè che in mezzo a pandemia e Pnrr, bizze degli alleati, caso Alitalia eccetera, Draghi potesse prendere una forte decisione propria sugli “arcana imperii” (con questa espressione Tacito nelle Historiae e negli Annales indicava ”i segreti del potere”). Quello di imporre per decreto la desecretazione di tutti gli atti relativi alle stragi presenti nelle amministrazioni dello Stato, ma ancora “coperti”, insieme a quelli relativi alla struttura Gladio e alla Loggia massonica P2. Nessuno si sarebbe aspettato che Draghi lo facesse in una data significativa come quella della ricorrenza della Strage di Bologna (il 2 agosto scorso). E soprattutto che portasse (ieri) il processo di desecretazione sotto la responsabilità diretta della Presidenza del Consiglio, affidandola al segretario generale di Palazzo Chigi Roberto Chieppa (dopo le polemiche che hanno coinvolto il direttore dell’Archivio di Stato).
Quest’ultima decisione ha un significato chiaro: è responsabilità dell’esecutivo, al suo più alto livello, fornire al Paese la verità storica sulla scia di terrore che ha insanguinato l’Italia fino all’inizio degli anni ’90, nella consapevolezza che non si può passare realmente alla Terza Repubblica, se non dopo aver fatto tutti i conti con la Prima. La decisione di Draghi segue una prima iniziativa presa dall’allora premier Matteo Renzi nel 2014, grazie alla quale la Commissione Moro2 - a inizio 2018 -ha consegnato al Parlamento e alla Procura di Roma una nuova lettura del sequestro e dell’assassinio di Aldo Moro, come l’episodio più grave della Guerra Fredda. L’iniziativa di Palazzo Chigi arriva nelle stesse settimane in cui il Parlamento europeo ha nuovamente sollecitato il Nicaragua ad adempiere alla richiesta italiana di estradizione (presentata in maniera formalmente corretta solo nel 2018) di Alessio Casimirri, brigatista presente in via Fani e condannato a sei ergastoli, e che non ha mai scontato neppure un giorno di carcere, protetto dal regime di Ortega.
Non è un caso che in Nicaragua finirono all’inizio degli anni ’80 le due grandi storie criminali italiane del Dopoguerra: il sequestro Moro e i soldi che provocarono il crack del Banco Ambrosiano di Roberto Calvi. Proprio grazie a una contabile sequestrata a Licio Gelli morto nel dicembre 2015) che si riferiva a soldi transitati dall’Ambrosiano, utilizzati, secondo l’accusa, per finanziare la strage, la Procura generale di Bologna ha riaperto di recente le indagini su quell’ eccidio. L’iniziativa di Draghi dimostra che per raggiungere la verità non ci sono misteri da svelare (alimentando la forma più subdola di depistaggio, quello per esagerazione) ma più seriamente segreti da rivelare. I segreti di una stagione di potere, che ormai può essere mandata in archivio.
MARIA A. CALABRÒ