di Franco Esposito
Scandali toscani. Imbrogli, truffe, appropriazioni indebite di denaro, di tutto di più. Il prete che andava dal pusher e pagava la droga per festini hard con i soldi prelevati dal conto della Curia. Dal pulpito chiedeva beneficenza per famiglie presunte bisognose, incassava, e spendeva il tutto in droga. Accalappiava partner dei festini su una App, don Francesco Spagnesi, parroco a Prato.
Vigilessa, già responsabile dell'ufficio verbali, Carla Vegni intascava i soldi delle multe. Metteva tutto in borsetta e andava a spenderli alle slot. Giocatrice accanita e pare perdente sistematica, afflitta chiaramente da ludopatia. Ben 119mila euro sottratti fra il 2017 e il 2019, ordinava ai colleghi di far pagare le multe in contanti. Quel contante che poi lei andava a buttare nelle sale gioco e ai casinò.
Don Francesco Spagnesi, il prete con la faccia del buono e le parole e l'aspetto del caritatevole, è accusato di spaccio. Ma per il Gip di Prato il suo profilo è quello tipico del tossicodipendente. In soli due mesi ha prelevato 40mila euro dal conto della Curia. Ai festini partecipava, in qualità di principale organizzatore Alessio Regina, suo convivente da anni. La prima incursione della squadra mobile nell'appartamento dei festini aveva rilevato la presenza di boccette per fumare il crack. Logico l'accostamento con la cocaina.
Il sacerdote tossicomane e vizioso è agli arresti. Il provvedimento l'ha firmato il gip Francesca Scarlati.
Il parroco, quarant'anni, non solo consumava e finanziava l'acquisto, ma spesso era lui direttamente a reperire lo stupefacente, usando tre canali di riferimento. Un consumo di droga sconfinato, in incontri per adulti ogni sette-dieci giorni. "Con persone preferibilmente omosessuali e propensi all'uso di droga". Depravazione allo stato puro.
Una doppia vita. Don Francesco l'ha rivelata spontaneamente alla polizia, dopo che il suo abituale compagno di vita viene preso con le mani nel sacco dai poliziotti: stava ritirando la droga dello stupro importata dall'Olanda. Le cose, in quella casa di Figline Valdarno, il prete e l'amico le facevano insieme. Per il reato di spaccio, infatti, sono accusati entrambi. L'ex parroco della Castellina chiedeva ai fedeli parrocchiani della chiesa della zona elegante di Prato l'obolo; ai partecipanti ai festini "un piccolo rimborso per la benzina". Palese la mancanza di volontà di guadagnare dalla cessione della droga. Il prezzo del vizio. Povera Chiesa, costretta a finire in basso per colpa di sacerdoti infedeli, viziosi, traditori della missione per la quale hanno giurato di convivere tutta la vita.
Notati ingenti ammanchi dal conto corrente della Curia, il contabile della diocesi rampognava il sacerdote infedele ministro di Dio "una marea di spese ingiustificate, fra cui prelievi di 40mila euro, cifre a cui si somma un ulteriore ammanco di 20mila euro". Oggetto, questo, di un'indagine della Misericordia pratese, di cui il prete era correttore.
Il vescovo Barbini, ad aprile, gli revoca il potere di firma per l'operatività bancaria. La reazione di don Francesco? Si rivolge ai parrocchiani con messaggi personali. Richieste continue, assillanti di oboli. La carità per persone presunte bisognose. Il bisognoso era lui, dipendente dalla droga e importatore dello stupefacente dello stupro. I parrocchiani sono sconvolti. "A volte non si presentava alla messa, spesso arrivava in parrocchia in ritardo, sudato e tremante, chiedeva sempre più di frequente denaro attraverso messaggi".
Una triste, squallida storia. Di tutt'altro tenore, ma parimenti sconcertante quella della poliziotta ex responsabile dell'ufficio verbali, ora chiamata, obbligata a risarcire. Deve rimettere i soldi intascati dalle multe, finiti nelle sue tasche: 119euro in tre anni. Utilizzati per giocare al bingo e alle macchinette. E il tentativo di insabbiare tutto, facendo sparire ventiquattro pagine del registro di cassa dell'ufficio verbali. Anche lei evidentemente viziosa, anche se vittima di un altro tipo di vizio rispetto all'ex parroco di Prato.
Grosseto la città dell'imbroglio di una persona non insospettabile. Sospesa dal servizio nel 2019, Carla Vegni, cinquantasette anni, era stata reintegrata perché "riconosciuta affetta da ludopatia". Peculato e distruzione di un diario pubblico i reati di cui è accusata. Ex sovrintendente capo della polizia stradale di Grosseto, è stata condannata a pagare 129.500, 36 euro al ministero dell'Interno, a titolo di danno patrimoniale.
La truffa prende le mosse nel momento in cui la Vegni, nel 2017, riesce ad occuparsi in via esclusiva della cassa di riscossione delle multe della polizia stradale. In virtù dell'auto incarico, tiene tutto sotto controllo. Sospesa in via cautelare dal servizio il 13 dicembre 2018, viene dichiarata dalla commissione medica di Firenze "perennemente non idonea al servizio. Rinviata a giudizio a giugno 2020, ora è arrivata la condanna, inevitabile. Ne esce scossa, ovviamente, la polizia stradale di Grosseto. Il tarlo tremendo presente dentro di lei le ha fatto perdere il controllo e qualsiasi forma di inibizione.
L'illecito, a ben vedere, non aveva alcuna possibilità di passare inosservato. Mosso dalla necessità (non giustificabile, sia chiaro) di essere disonesta.