Quando gli uomini sentono un bisogno da soddisfare, moralmente giusto o sbagliato che sia, si crea automaticamente un mercato, in cui ci sono da una parte quelli che si dicono disposti ad esaudirlo - gli offerenti - e dall’altro quelli che sono disposti a pagare pur di vederlo soddisfatto - gli acquirenti. Gli economisti conoscono bene questo fenomeno, che funziona anche quando per qualche motivo, spesso di natura legale, lo scambio non può avere luogo: lì si forma un mercato nero o illecito. Questa breve spiegazione è indispensabile per capire le ragioni della rinnovata voglia di referendum che si respira oggi in Italia. Il quesito sull’eutanasia legale ha già raggiunto la stratosferica cifra di 900 mila firme, così come quelli sulla riforma della giustizia hanno abbondantemente superato le 500mila firme necessarie da Costituzione, mentre quello su una più ampia depenalizzazione della coltivazione e dell’uso della cannabis in pochi giorni ha già sfondato quota 300mila, tanto che molto probabilmente riuscirà a superare lo sbarramento costituzionale entro fine settembre.
Che cosa hanno in comune tutti questi referendum? Sostanzialmente una cosa: nascono dall’incapacità della politica di scegliere, dall’abdicazione del parlamento alla propria funzione naturale ovvero normare i fenomeni sociali che si presentano giorno dopo giorno e giorno dopo giorno mutano incessantemente. Riprendendo la piccola storiella a inizio di questo commento, i parlamentari italiani da anni su alcuni argomenti si comportano da pavidi, non sono disposti a esaudire il bisogno degli eletti di veder regolati aspetti importanti della propria vita individuale e sociale. E quindi, come naturale conseguenza, ecco che questo bisogno latente si sfoga verso lo strumento principe della democrazia diretta, non intermediata, ovvero il referendum.
La necessità di una legge che regoli in maniera più consona all’evoluzione della nostra società il fine vita è materia che riguarda tutti e 60 i milioni di persone che risiedono in Italia e che ormai da anni aspettano una deliberazione delle aule parlamentari. Deliberazione mai evasa nonostante i ripetuti richiami della Corte Costituzionale. Allo stesso tempo, nel nostro paese vivono orientativamente sei milioni di consumatori di cannabis, il 10 per cento della popolazione, che da tempo chiedono alla politica un modo per non finanziare più le numerose piazze di spaccio italiane, a maggior ragione visto che far uso di cannabis è ormai un comportamento che non genera più riprovazione sociale. Alla base del boom referendario quindi c’è sicuramente la colpevole latitanza dei nostri parlamentari. A cui però va aggiunto quello che è stato il grimaldello tecnico che ha fatto saltare il tappo: la rivoluzione della firma digitale.
Il fatto che da qualche settimana chi voglia firmare per questo o quel quesito finalmente possa farlo online, ha fatto emergere una voglia di partecipazione democratica finora sconosciuta, soprattutto di giovani e donne. E ha reso milioni di volte più accessibile lo strumento cardine della democrazia diretta. Tanto che in parlamento già più di un parlamentare mugugnando si alambicca per cercare qualche cavillo-emendamento che possa rendere più difficile la raccolta di firme digitali. Atteggiamento questo ancora una volta miope: come abbiamo appreso, se c’è un bisogno è bene che qualcuno si adoperi per soddisfarlo altrimenti si troverà sempre un modo alternativo per soddisfarlo. La politica abbia il coraggio di prendere decisioni su temi importanti come eutanasia legale o uso personale di cannabis. Altrimenti, come diceva il saggio, qualcun altro deciderà per te. E non è detto che ti piaccia.