Gente d'Italia

Gli scambi d’ingegno tra Perugino e Raffaello

 

 

DI MARCO FERRARI

“Perugino, il maestro di Raffaello”, mostra curata da Vittorio Sgarbi nel Palazzo Ducale di Urbino sino prossimo 17 ottobre, allieta la visita di coloro che si recano nelle Marche, fantastica meta autunnale. Il Palazzo Ducale restituisce il suo cuore più antico, l’appartamento cosiddetto della Duchessa, nell’ala più settentrionale, per continuare a parlare intorno a Raffaello e alla sua storia. Il Perugino, che di Raffaello fu il maestro, poi quasi ne divenne l’allievo, tanto esplose la fama del Sanzio. Difatti Raffaello acquisì dal collega più anziano l’attenzione ai volti e alle espressioni, oltre alla definizione di architetture e spazialità. Pietro di Cristoforo Vannucci era il vero nome del Perugino (Città della Pieve, 1448 circa – Fontignano, febbraio 1523), titolare in contemporanea di due attivissime botteghe, a Firenze e a Perugia. Fu per un paio di decenni il più noto e influente pittore italiano del suo tempo, tanto da essere definito da Agostino Chigi "il meglio maestro d’Italia”. Frequentò la bottega del Verrocchio insieme a Botticelli e Leonardo da Vinci. È considerato uno dei massimi esponenti dell'umanesimo e il più grande rappresentante della pittura umbra del XV secolo. Collaborò nelle decorazioni della Cappella Sistina con Sandro Botticelli, dove dipinse la sua opera più famosa, “Consegna delle chiavi”. Morì a Fontignano, frazione di Perugia nel 1523, luogo in cui aveva cercato rifugio dalla peste bubbonica. Ma fu anche maestro di Raffaello Sanzio (Urbino, 28 marzo o 6 aprile 1483 – Roma, 6 aprile 1520), fra i più celebri artisti del Rinascimento. Considerato un innovatore per le numerose opere iconiche, l’Urbinate usava lavorare in una bottega composta da numerosi professionisti di altissimo livello. La "maniera" di Raffaello fu di vitale importanza per lo sviluppo del linguaggio artistico dei secoli a venire. Molto doveva al Perugino di cui l’esposizione di Urbino ripercorre i momenti principali della formazione. La personalità dell’artista del Perugino si sviluppa nel secondo Quattrocento influenzata dallo stile del gotico internazionale. Il Perugino introduce delle variazioni alla pittura tradizionale, differenziandosi dai contemporanei. L’attività alla bottega del Verrocchio gli permette di confrontarsi con Leonardo, Botticelli e Ghirlandaio. Con i venti dipinti in esposizione nella sala del Castelliere, più due video, una ricognizione nella sua bottega, viaggiamo tra la nativa Umbria e le Marche, valicando un Appennino che invece di dividere univa. È uno squarcio sul meglio del Quattrocento, là dove echi del tardogotico si declinano nel classicismo presto vibrante di manierismo: un impasto sapiente di umori stilistici dove la fa da padrone il paesaggio. Sono proprio gli ultimi trent’anni del Quattrocento che la rassegna inquadra, proiettandosi verso il secolo successivo. La mostra intende cogliere un momento particolare: quando gli equilibri del Quattrocento sono ormai alle spalle e Perugino è all’apice della carriera, quando emerge nella sua stessa bottega il genio precoce del giovane Raffaello.
L’esposizione si apre con le opere di alcuni artisti umbri e marchigiani, tra cui Giovanni Boccati e Bartolomeo Caporali, per richiamare il contesto figurativo del secondo Quattrocento. L’orizzonte si sposta a Firenze, nella bottega di Andrea del Verrocchio. In questo prestigioso apprendistato il Perugino acquisì quell’invidiabile scioltezza del disegno che sarà poi alla base della sua arte. A Firenze era inoltre possibile ammirare i capolavori dei più celebrati maestri fiamminghi, che Perugino tentò sempre di emulare, specialmente nei suoi paesaggi luminosi. Non meno importante per la sua formazione fu l’incontro con Piero della Francesca, che gli trasmise un più misurato senso compositivo e una perfetta competenza prospettica. Nel 1481 fu chiamato a dirigere, insieme ad altri artisti, la decorazione della Cappella Sistina, un’impresa che segnerà un punto di svolta decisivo per la sua carriera. Il maestro riuscì a godere per almeno due decenni di un successo incontrastato e ad attirare commissioni da ogni parte d’Italia.
La rassegna, con prestiti dalla Galleria Nazionale dell’Umbria, dal Museo di Arte Antica e di Arte Sacra di Sutri, dal museo del tesoro della Basilica di San Francesco di Assisi, oltre che dalla stessa Galleria Nazionale delle Marche di Urbino, si snoda in un percorso narrativo, quasi esso stesso un’opera, articolato in sezioni allestite nelle Sale del Castellare. «Gli artisti tra Umbria, Marche e Toscana cercano una strada nuova dopo l’arrivo della Pala di Piero della Francesca per la Chiesa di San Bernardino, mausoleo dei Duchi – osserva Sgarbi. - È una lingua di emozioni e sentimenti che nessuno saprà interpretare meglio di Raffaello. Ma a ispirarlo e indirizzarlo sarà proprio il Perugino». In fondo il paesaggio del Perugino è lo stesso che si nota ancora oggi dalle finestre del Palazzo Ducale. Alle pareti anche le suggestioni di Pinturicchio, del “nervoso” Signorelli, gli stessi che a Roma si calarono con Raffaello nei buchi del colle Oppio e scoprirono le meraviglie affrescate della Domus Aurea, dando il via alla moda delle grottesche. In un filmato, poi, si mettono a confronto lo Sposalizio della Vergine del Perugino, dipinto nei primi anni del Cinquecento per la cattedrale di Perugia e oggi in Normandia, con l’omonima tavola fatta da Raffaello nel 1504 per la chiesa di San Francesco a Città di Castello e oggi alla Pinacoteca di Brera. Si squarcia il debito verso il Perugino, chiamato “divin pittore”, e insieme il “sorpasso” compiuto dal giovane Raffaello. La delicatezza di certe Madonne o di quell’Arcangelo Gabriele provenienti dalla Galleria Nazionale dell’Umbria certificano uno scambio d’ingegni insuperabile. 

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