Il professor Giuseppe Conte, attuale presidente dei Cinque Stelle, insiste nel dire che bisogna aprire al “dialogo” con i Talebani. Perché solo in questa maniera si potranno trovare soluzioni alla muta convivenza! Tutto questo in un momento in cui l’Occidente ricomincia ad avere “paura” di un ritorno al terrorismo dell’11 settembre, che da più di quarant’anni (i Russi misero piede in quella terra nel 1979) fa parte ormai del nostro vivere quotidiano. Al professor Conte io consiglierei degli approfondimenti.
Perché se di “Dialogo” si deve parlare, allora ci si può benissimo riferire ai falsi aspetti religiosi cui i Talebani si richiamano. La loro bandiera riporta integralmente la prima Sura del Corano, e lo Stato sociale messo in atto con violenza dimostra che il loro unico riferimento giuridico è il “Corano”, simbolo dominante per l’intero mondo islamico, e null’altro. Ma questo, non significa certamente che i Talebani facciano parte del mondo islamico propriamente detto. Anzi, provate a chiedere al Grande Imam Al Tayeb (firmatario con Papa Francesco della Dichiarazione di Abu Dhabi sulla Fratellanza mondiale e a convivenza comune)!
Vi risponderà sicuramente che i Talebani, così come tutte le altre forme di devianza religiosa, non hanno nulla a che fare con l’Islam! Ma allora: che cosa si deve intendere per Islam oggi? In effetti, il significato etimologico di Islam è “sottomissione, abbandono completo a Dio”. Quindi possiamo anche dire che l’Islam indica l’insieme dei popoli che nel corso dei tempi si sono sottomessi al verbo di Dio, secondo la Rivelazione ricevuta da Maometto nel VII secolo dopo Cristo. In particolare, l’Islam di oggi contempla 2,2 miliardi di fedeli, che corrisponde al 29 per cento della popolazione mondiale. Secondo uno studio del Pew Research Center di Washington, tranne il buddismo, già entro il 2040 tutte le religioni saranno più numerose. Ma i più veloci a crescere nelle prossime due decadi saranno i musulmani. Ecco, quindi, che in futuro sarà fondamentale cercare di capire come i musulmani (cioè coloro che per credo hanno l’Islam), si comporteranno ai fini di una degna integrazione tra popoli.
I flussi migratori in atto diventeranno un fattore che andrà a incidere sulla vita sociale comune e il sentirsi cittadino della nazione in cui vivranno. Alle origini (622 dopo Cristo), il parametro culturale sulla base del quale venne organizzata la società musulmana fu la Sharia. Cioè la conversione in testo giuridico delle norme sociali e religiose fatte da esperti “giuristi” (con la realizzazione di quattro scuole giuridiche nell’Islam) di quanto è tracciato dal volere di Dio nel sacro Corano e nelle interpretazioni che vengono attribuite al Profeta Maometto nelle Hadith.
Ne consegue che, soprattutto agli inizi, l’Islam, a prescindere dal territorio geografico di attuazione, aveva come riferimento in primo luogo i diritti di Dio (i rapporti uomo-Dio) e di conseguenza i doveri dell’uomo (le ricadute sul piano comportamentale del culto e della teologia). Ma, al tempo stesso, da sempre l’Islam ha predicato la predestinazione per l’ottenimento del fine ultimo, che è Dio stesso in assoluto. Concetto comune a tutte le religioni monoteiste. Ai fini dell’integrazione culturale, questo ultimo punto è fondamentale, perché unisce l’intera umanità sull’essere parte integrante di un unico progetto! Argomento principale, peraltro, di un libro a mia firma, “La strategia Obama del caos Generalizzato” (2016), in cui tra l’altro accennavo ai “Doveri” dell’Islam che si contrapponevano ai “Diritti” dell’Uomo: “Due civiltà messe a confronto: la società dei “Doveri” (l’Islam), discendente dalla Rivelazione Coranica, e la civiltà dei “Diritti” legittimata dalla Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo delle Nazioni Unite del 1948. Cultura civica originata dal pensiero umanistico, che in seguito ha dato origine al Rinascimento, all’Illuminismo, convogliate poi nelle Rivoluzioni Inglese, Francese e Americana. Ricordo a tal proposito che la Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo fu coniata per la prima volta dalla moglie del presidente Roosevelt.
Eleanor Roosevelt si impegnò per la ratifica della Dichiarazione universale dei Diritti dell’Uomo da parte delle Nazioni Unite. Il 28 settembre 1948, in un famoso discorso, definì la Dichiarazione la Magna Carta di tutta l’umanità”. Ecco da quel giorno, molto lentamente, anche la cultura del mondo islamico ha iniziato il so percorso di cambiamento. Il 5 febbraio del 2019, Papa Francesco e l’Imam Al Tayeb hanno congiuntamente firmato quella bellissima dichiarazione sulla “Fratellanza umana”, tra cui, tra l’altro, viene sottolineata l’importanza della “Libertà”: “La libertà è un diritto di ogni persona: ciascuno gode della libertà di credo, di pensiero, di espressione e di azione. Il pluralismo e le diversità di religione, di colore, di sesso, di razza e di lingua sono una sapiente volontà divina, con la quale Dio ha creato gli esseri umani. Questa Sapienza divina è l’origine da cui deriva il diritto alla libertà di credo e alla libertà di essere diversi”. Concetto fondamentale che indica principalmente come il singolo individuo debba sentirsi cittadino attivo nel contesto della propria società.
Una società fatta di “diversità”; perché è proprio sulle diversità che si costruisce un percorso condiviso e comune, senza dimenticarci che il fine ultimo del nostro essere è comune a prescindere dalle diversità in essere. No, caro Professore Conte, non credo proprio che l’ideologia Talebana, così come qualsiasi altra forma di integralismo religioso deviato, possa essere in grado di capire l’essenzialità di una simile dichiarazione. Devono percorrere ancora e affrontare (se mai ci riusciranno!) l’Umanesimo, il Rinascimento, l’Illuminismo e il “femminismo statunitense” degli anni Trenta.
Grazie a Francesco e Tayeb il resto del mondo islamico ha iniziato il suo percorso verso una integrazione sociale nel rispetto delle libertà delle singole individualità. Una volta tanto, lo ammetto, è meglio lasciar lavorare “i Preti”! Li lasci fare.
FABIO GHIA