di Lucio Fero
Migranti? Soprattutto negri. Foto: uomo a cavallo frusta con perizia e naturalezza, usando le lunghe briglie, uomo a piedi. Perizia e naturalezza che vengono dal profondo e da lontano. Chi frusta è bianco di pelle, il frustato è nero di pelle. È questo che conta laggiù nel sud dell'old West. Più che un agente di polizia di frontiera del Texas e un migrante che viene da Haiti, i due uomini sono un bianco e un nero, un nero e un bianco. E per secoli qui la frusta e il negro sono stati un'accoppiata normale, quotidiana, naturale.
Il migrante coi piedi nel corso d'acqua che separa Messico e Usa poteva essere un qualsiasi chicano, uno dalle fattezze somatiche che attestano la nascita in uno dei tanti paesi del Centro America. L'uomo bianco a cavallo lo avrebbe caricato, sospinto di là dalla frontiera, forse perfino costretto a correre e cadere sotto la spinta del muso della bestia e il pericolo degli zoccoli. Il chicano clandestino sarebbe stato cacciato, peraltro a norma di legge. Ma frustato no, la frusta è, non a caso, per il negro.
Quella foto evidenzia in maniera plastica come gli Usa abbiano da secoli un problema, anzi un carattere costitutivo irrisolto: il razzismo. E non un razzismo indistinto e universale. Il razzismo americano è sottomissione del nero di pelle, del negro. Anche se in pubblico nessuno osa più pronunciare la parola nigger, da negri in molti Stati americani vengono trattati i neri di pelle. Si è sempre provato a non farli votare, sono sempre stati puniti con sentenze e pene più pesanti, sono sempre stati considerati utili solo per lavorare e nocivi in ogni altra forma della loro esistenza. Quell'uomo bianco che sta frustando l'uomo nero di pelle viene da una lunga e mai spenta tradizione, quella che il negro è in fondo bestiame da governare con la frusta. Il cow boy in divisa della foto non caccia via l'immigrato, frusta il negro.