Gente d'Italia

M5s a picco, Conte già nel mirino del fuoco amico, e lui, stizzito con Grillo, va a Napoli

di Pietro Salòvatori

“I dati non possono compromettere il nuovo corso”, dice Giuseppe Conte mettendo le mani avanti. È la prima tornata elettorale sotto la sua guida, per il Movimento 5 stelle è un bagno di sangue. A Milano è un testa a testa con il movimento dell’ex Gianluigi Paragone, ma non per il ballottaggio, per un terzo posto su percentuali vicine al 3%. A Torino, dopo cinque anni di governo, si incassa un misero 8%, a Roma Virginia Raggi rimane fuori dal secondo turno e si contende voto a voto il terzo posto con Carlo Calenda. 

“Abbiamo vinto a Napoli”, provano a dire i 5 stelle esultando per Gaetano Manfredi che la spunta al primo turno, ma con l’obiettivo che si erano posti, diventare la prima lista in città, che probabilmente sfumerà alla fine dello spoglio, che li vede crollare dal quasi 40% delle politiche a poco più del 10%. A Bologna la lista sosteneva la coalizione di centrosinistra ma è ben lontana dalle attese e dalle speranze di incassare un risultato a due cifre, vedendo inchiodati i pentastellati intorno al 4%. 

“Siamo morti”, dice un parlamentare raggiunto al telefono, un po’ scherzando ma soprattutto no. Il nuovo corso forse non è compromesso, ma sicuramente parte zavorrato. È uno showdown per il partito di Conte, che vince solo trainato dal Pd e perde clamorosamente dove va da solo, con candidati robustamente identitari come lo sono state Valentina Sganga sotto la Mole ma anche la stessa Raggi. Al punto che anche i favorevoli all’alleanza oggi si interrogano: ”È vero che vinciamo, ma da partner di minoranza, così finiamo dissanguati”.

Il partito fibrilla, quando a metà pomeriggio arriva una proiezione che vede la sindaca della Capitale in rimonta serpeggia un breve brivido di euforia, che viene stroncato presto dai dati che continuano ad affluire. Tra i parlamentari è un vespaio. In tanti difendono “i buoni risultati a Napoli e Bologna”, sostengono la linea di Conte che dice che “questo è il tempo della semina per il M5s, siamo appena partiti con il nuovo corso, si è insediato appena prima che si depositassero liste, il nuovo corso non ha potuto dispiegare appieno le sue potenzialità”.  

Eufemismo sul quale molti si aggrappano speranzosi, ma che non risolve il tremendo stato di crisi in cui versa il Movimento. “Forse a questo nuovo corso servirebbe un bel bagno di umiltà”, ragiona un onorevole molto critico ma anche molto preoccupato. Il timore è quello di risolversi ad essere una costola della sinistra, partner fondamentale (spesso) ma minoritario di una coalizione che calza molto stretta a chi ha nel dna il “no alle alleanze”.

Conte fa buon viso a cattivo gioco, spiega ai cronisti che “avevo detto che ci avrei messo la faccia ed eccomi qui”, il volto è teso, e chi ha avuto modo di parlarci spiega che si aspettava qualcosa in più. Il partito sbanda, c’è chi dice che “un conto sono i like e un conto la vita reale”, chi spiega che “Conte deve fare tanta palestra, non servono i selfie, serve convincere le persone con un progetto credibile”.

L’ex premier è nervoso. Beppe Grillo poco prima che si chiudessero i seggi ha postato una foto con Gianroberto Casaleggio e l’enigmatica didascalia: “Abbiamo fatto l’impossibile ora dobbiamo fare il necessario”. Alcuni la leggono come la necessità di convivere con una leadership che, non è un mistero, non gli garba fino in fondo, altri proprio come un attacco al nuovo capo, ma un’interpretazione autentica non è dato conoscerla. Conte risponde quasi stizzito a chi glie la chiede “E che sono io l’interprete dei post di Grillo?”, quasi non c’entrasse niente, quasi a scrollarsi di dosso l’ennesima complicazione di una giornata niente affatto semplice.

Il professore pugliese mette nell’orizzonte i ballottaggi, non scioglie le riserve ma spiega che se appoggio ci sarà, non sarà per i candidati di centrodestra. Il borsino interno all’entourage del presidente M5s riporta in alto le quotazioni di un sostegno a Roberto Gualtieri a Roma, in forte ribasso quelle di un appoggio al Pd torinese.

Prima ci si dovrà leccare le ferite e capire fino a che punto la leadership contiana esce indebolita dalla sconfitta. La maggioranza dei gruppi parlamentari è ancora con lui, ma il malumore serpeggia sempre più insistente. Whatsapp va down, il chiacchiericcio che stava montando nelle chat si interrompe forzatamente. Conte prende la macchina e se ne va a Napoli, una delle pochissime città in Italia dove stasera può dire di avere vinto. E forse nemmeno del tutto, aspettando i dati definitivi sulle liste dei partiti.

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